Fuga dalla libertà

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Gli esseri umani sono bipedi implumi. Se non fosse per la loro intelligenza che li differenzia dalle altre specie viventi e ha consentito loro di sopravvivere e di prosperare, si sarebbero estinti già poco tempo dopo la loro comparsa sulla terra. Non hanno zanne, corna o artigli per difendersi o attaccare; non hanno pellicce o strati di grasso per proteggersi dal freddo; in poche parole, sono (apparentemente) inermi. Sin dall’inizio essi compresero che la loro migliore difesa sarebbe stata quella del fare gruppo, comunità, e quindi si organizzarono in tribù. Ma l’organizzazione richiede che qualcuno prenda la direttiva, che assegni i compiti, che impartisca la disciplina. Così nacquero le prime strutture “politiche”, necessarie per la continuità del gruppo che, data la ferinità della natura umana, doveva continuamente difendersi dalle aggressioni degli altri gruppi della stessa sua specie. Sin dall’inizio, però, un sentimento ha dominato le comunità umane: la paura. Paura degli elementi, della folgore, del tuono, delle malattie e della morte. Paura di eventi che sfuggivano al loro controllo e alla loro comprensione; e fu allora che l’uomo creò dio: un essere soprannaturale al quale rivolgersi nei momenti di pericolo, di panico, di impotenza a farcela da soli. Dio, però, non si manifestava mai visibilmente; così sorsero i suoi “rappresentanti”. Che si chiamassero sciamani, stregoni, sacerdoti e così via, non era importante; ciò che contava è che essi fossero in contatto con la divinità, e che la loro fosse la voce di Dio, una voce alla quale non si poteva disubbidire pena tremende conseguenze.

Il trascorrere del tempo e il progredire della conoscenza hanno notevolmente modificato gli assetti iniziali delle prime compagini umane che, però, hanno mantenuto i due aspetti originari della loro vita comunitaria: (1) la politica e (2) la religione. Spesso queste due strutture andavano di pari passo in base alla formula cuius regio eius religio, ovvero la religione di un paese dev’essere quella di chi lo governa. In un’estrema semplificazione si potrebbe dire che alla politica spettava il dominio dei corpi e alla religione quello delle anime. Spesso, comunque, le due funzioni erano accentrate in un solo individuo, di cui già nella Bibbia troviamo traccia nella persona di Melchisedec, che era sia re che sacerdote di Salem (Gen. 14:18; Ebrei 7:1). La commistione fra la politica e la religione si perde nella notte dei tempi, e ripercorrerne le tappe esula dall’argomento che qui intendiamo sviluppare. Scavalcando parecchi secoli, troviamo che il trascorrere del tempo ha provveduto a separare questi due importanti aspetti della vita sociale, che hanno preso la forma: il primo, dei partiti, e il secondo delle grandi religioni. I partiti sono, o dovrebbero essere, la manifestazione di idee comuni sul come regolare gli assetti statali e sono caratterizzati da ideologie a volte molto divergenti fra l’uno e l’altro sul come conseguire i migliori interessi dei governati. Le grandi religioni – per rimanere nell’ambito del cristianesimo – unite dalla fede nel Dio unico, divergono su alcuni aspetti di prassi e di dottrina, che il trascorrere del tempo va sempre più attenuando.

Entrambe queste due strutture hanno conosciuto – e continuano purtroppo a conoscere – forme degenerative. Nel caso dei partiti la degenerazione ha dato origine ai totalitarismi, dei quali il XX secolo è stato triste testimone con il nazi-fascismo che ha insanguinato l’Europa. Nel caso delle religioni, la degenerazione ha dato origine alle “sette”. Per quanto possa sembrare singolare, entrambe queste manifestazioni estremiste hanno molto in comune, che rende facile passare dall’una all’altra senza rendersene conto.

Esaminiamo, per approfondire ciò di cui stiamo parlando, un totalitarismo che noi italiani, purtroppo, abbiamo conosciuto molto da vicino: il fascismo, che va di pari passo con un altro movimento ad esso temporalmente e geograficamente vicino: il nazismo. Per comprendere come si può affermare che una setta e un totalitarismo politico possano ritenersi strutturalmente imparentati, è necessario comprendere anche perché masse di persone possano aderire spontaneamente ed entusiasticamente a movimenti che, per prima cosa, nel nome della libertà, è proprio della libertà che li privano. Come abbiamo già visto all’inizio di questa trattazione, un sentimento che sin dalle origini ha caratterizzato gli esseri umani è la paura, dalla quale deriva la spasmodica ricerca di protezione, in cambio della quale, però, è necessario cedere ciò che abbiamo di più prezioso. Nell’analisi che fa di queste pulsioni della persona umana, Erich Fromm nel suo famosissimo saggio, spiega che la Fuga dalla libertà è lo scotto da pagare in cambio della sicurezza, di un riparo. L’autore spiega che “il primo meccanismo di fuga dalla libertà … è la tendenza a rinunciare all’indipendenza del proprio essere individuale e a fondersi con qualcuno o qualcosa al di fuori di sé stessi per acquistare la forza che manca al proprio essere … Altri meccanismi di fuga sono il ritiro dal mondo spinto a un punto tale da far perdere a quest’ultimo il suo carattere minaccioso”. Ecco perché, continua Fromm, “Nulla riesce più difficile all’uomo medio del sopportare il sentimento di non potersi identificare con un vasto gruppo … La paura dell’isolamento e la relativa debolezza dei principi morali possono aiutare qualsiasi partito, una volta che abbia conquistato il potere dello Stato, ad assicurarsi la lealtà di gran parte della popolazione”. Cosa può esservi di più desiderabile di far parte di un gruppo al quale, in cambio dell’ubbidienza e della sottomissione, viene garantita la “vita eterna”, e la consapevolezza di far parte di una comunità di “eletti” che non fanno più parte di un mondo corrotto e morente, e di essere, essi ed essi soltanto, il “popolo di Dio” al quale nell’imminente palingenesi verrà concesso di sopravvivere per poi fare il suo ingresso in un “mondo nuovo” nel quale essi saranno i soli a vivere? Non ad altri che a essi è riconosciuto l’essere i “veri cristiani” e non il simulacro del cristianesimo rappresentato dalle grandi religioni “ufficiali”. Lo stesso avveniva, come spiega Emilio Gentile in La grande Italia, quando «solo ai fascisti fu riconosciuta una piena italianità, mentre gli italiani avversari del Fascismo vennero espulsi dalla comunità nazionale come scomunicati e rinnegati … Lo Stato totalitario si propone di rigenerare gli italiani, di “rifare” il loro carattere, di creare una nuova identità, spirituale e razziale, della nazione … Nella sua scaturigine immediata, il nazionalismo fascista è il prodotto di quello che con un termine sociologico si può chiamare uno stato di “effervescenza collettiva”, cioè di un’esperienza di esaltazione in cui furono coinvolti gli interventisti e i combattenti … convinti di essere protagonisti di un grande evento, iniziatori di una nuova epoca … Per i primi fascisti, la nazione, sentita emotivamente soprattutto come patria, era un simbolo di fede … Mussolini volle accentuare l’origine esistenziale dell’idea fascista di nazione, affermando esplicitamente il suo carattere mitico come simbolo di fede

Le adunate oceaniche di folle esaltate ed entusiaste radunate a Norimberga in Germania, o in Piazza Venezia a Roma, non possono non richiamare alla mia mente le stesse folle radunate negli immensi catini dello Yankee Stadium e dei Polo Grounds di New York, nel dopoguerra, da una delle più espansive sette americane moderne, con numerosissime propaggini europee, convinte di essere in procinto di essere trasferite, di lì a poco, in un mondo rigenerato e preparato appositamente per loro. Che l’ottenimento di questo nuovo mondo costerà lo sterminio di miliardi di persone innocenti non turba minimamente i futuri eredi di questo “paradiso restaurato”, così come lo sterminio dei sei milioni di ebrei, e di chiunque si fosse opposto al nazismo e al suo Führer per consentire una nazione composta soltanto di individui di pura razza ariana, era un dettaglio insignificante per le folle osannanti. Folle disposte a credere a tutto ciò che usciva dalla bocca del Duce o del Führer o del capo della setta, che promettevano in cambio dell’ubbidienza cieca la vita in un nuovo mondo, libero da coloro che i “capi” e Dio che li aveva nominati tali, avevano stabilito che sarebbero stati indegni di vivere. Ciò di cui stiamo parlando fu descritto magistralmente da George Orwell nel suo 1984, nel quale la figura del “Grande Fratello” può essere applicata senza esitazioni ai capi dei regimi totalitari o, come hanno fatto in un saggio americano di grande interesse Gary e Heather Botting, intitolato Il mondo orwelliano dei Testimoni di Geova, nel quale essi descrivono le tecniche di indottrinamento e di adesione delle masse ad una delle sette più note in America.

Perché, ci chiediamo, è possibile che milioni di persone accettino senza batter ciglio l’affermazione che “qualunque cosa il partito (o i vertici della setta) affermi essere verità è la verità?” Preliminarmente ciò è possibile se si conviene con Thomas Hobbes che il popolo è incapace di governarsi da sé ed è sempre alla ricerca di qualcuno che lo faccia. Nel 1646 l’autore inglese scriveva che “sono già da molto tempo di opinione che non vi è mai stato concetto elevato che sia piaciuto al popolo, e che una saggezza superiore alla media non può essere approvata dal volgo, perché, o non la capiscono, o, se la capiscono, l’abbassano al loro livello”. Opinione, questa, pienamente condivisa da un altro grande politologo del passato, Francesco Guicciardini, secondo il quale: “chi disse uno populo disse veramente uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille confusioni, sanza gusto, sanza diletto, sanza stabilità … el popolo per la ignoranza sua non è capace di deliberare le cose importanti … è instabile e desideroso sempre di cose nuove, e però facile a essere mosso e ingannato dagli uomini ambiziosi e sediziosi”. Popolo che, osservava Guicciardini, è “come le onde del mare, le quali secondo che ‘e venti che tirano vanno ora di qua ora di là, sanza alcuna regola, sanza alcuna fermezza”. Giudizio impietoso al quale si associa Etienne de La Boétie secondo il quale “la plebaglia … è naturalmente portata a diffidare di chi l’ama e a fidarsi di chi l’inganna”. È questo popolo, quindi, che è facilmente preda di duci e ducetti, e di “capi carismatici” che gli promettono – creduti ciecamente – un “nuovo ordine” (nel gergo fascista un ordine nuovo), una nuova società di privilegiati. Non si sbagliavano, quindi, altri grandi pensatori del passato a nutrire, come Voltaire, “un sommo disprezzo per la vile plebaglia”, o come Jean Jacques Rousseau, che definiva il popolo “una plebe abbrutita e stupida”, cui faceva eco Baruch Spinoza, secondo il quale il maggior ostacolo alla repubblica della ragione e della libertà era rappresentato dalla natura dell’uomo e del volgo “che costituisce la grande maggioranza del genere umano”. Genere umano che, secondo Niccolò Machiavelli, “non sa preservare la sua libertà, e spesso si lascia ingannare da chi gli promette sicurezza a prezzo della libertà”.

Libertà! Che concetto impegnativo, eppure è la prima cosa che dev’essere deposta ai piedi del Grande Fratello, sia esso il partito o la setta. Il crimine più grave in essi è costituito dal dissenso. Sei libero di pensare, ma come loro. Per chi si allontana dal pensiero ortodosso ufficiale, nel caso dei totalitarismi c’è la Siberia e il gulag, nel caso della setta c’è l’ostracismo, con il quale si viene tagliati fuori da ogni legame familiare e affettivo; l’ostracismo, o disassociazione, come viene definito dalla setta che abbiamo menzionato, equivale alla morte civile. Per poter rimanere, per dirla con Wilhelm Reich, protetto dalla copertura rassicurante del Grande Fratello, l’individuo trova un porto rassicurante cui ormeggiare, nella sottomissione paternalistica a un leader, in quanto sempre per l’autore di Psicologia di massa del fascismo, questo movimento (insieme al nazismo e alle sette) era l’espressione politica organizzata del carattere di persone frustrate … L’atteggiamento di individui repressi in una società autoritaria. Il Nazi-Fascismo e le sette sollevano la persona dall’ingrato compito di pensare, perché c’è chi lo fa per loro. La loro vita è scandita – protettivamente – dalle stesse abitudini, dagli stessi riti, dallo stesso modo di parlare, di abbigliarsi, dalle stesse letture, dagli stessi raduni sociali: le “adunate” e le “adunanze”. Assoluta ubbidienza e cieca fiducia nelle direttive dei capi del partito, o nelle disposizioni dei “rappresentanti di Dio” per le sette, sono gli obblighi imprescindibili cui è perentorio conformarsi. Tutto questo, come dice Fromm, fa sì che la persona che rinuncia al suo io individuale e che diventa un automa, identico a milioni di altri automi che lo circondano, non deve più sentirsi sola e ansiosa. Ma il prezzo che paga è alto; è la perdita del suo IO.

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