La pressione della nuova impennata nella curva dei contagi ha nuovamente spostato l’attenzione sugli aspetti concreti per arrestare la pandemia. La paura del contagio è risultata molto più convincente di una qualsiasi costrizione burocratico-amministrativa e le lunghe file ai centri vaccinali ne sono lampante dimostrazione.
Ragionare, elaborare, controllare, sotto la pressione di un’oggettiva emergenza sanitaria delle dimensioni della pandemia in atto, è stato certamente difficile e i dubbi, gli interrogativi sono stati messi da parte in uno scontro semplificato tra negazionisti per principio e il complicato mondo delle cure mediche dove ricerca scientifica, sperimentazione farmacologica per la prevenzione e la cura si intersecano con la pratica degli operatori sanitari, dai medici agli infermieri, messa a dura prova da un virus che quotidianamente mieteva e miete vittime.
L’ampliamento della conoscenza è possibile solo in una società democratica, ma la scelta di quale settore finanziare e sostenere, per le sue potenzialità di produrre profitti oltre che benefici per la specie umana, non è neutrale e condiziona la stessa ricerca scientifica.
La scienza si nutre di sperimentazione, di ipotesi fondate su conoscenze sedimentate e condivise che vengono sottoposte alla verifica tramite protocolli tali da consentire il confronto dei risultati ottenuti. Questo sistema di garanzia tutto interno alla ricerca scientifica da solo non può salvaguardarci come semplici cittadini, come specie umana, dai tanti rischi connessi alla diffusione dei risultati scientifici quando vengono trasformati, inglobati, in prodotti commercializzabili con sicuri risvolti in termini di profitti di cui possono godere solo poche grandi imprese o, come può sempre accadere, essere trasformati in strumenti di dominio e di controllo.
Inoltre e non solo nei sistemi democratici, i sistemi di controllo in alcuni settori sensibili vanno ben oltre la validazione scientifica dei risultati e la legittimità del loro sviluppo viene vagliata alla luce di principi etico-morali. Sistemi imperfetti data la loro natura essenzialmente ideologica. Si pensi al blocco della sperimentazione e della ricerca su alcune sostanze chimiche (l’eroina è bandita dalla farmacopea ufficiale in tutto il mondo e non è stato possibile studiarne in modo sistematico effetti e danni che provoca sull’organismo umano, impedendo anche di sperimentare cure mediche adeguate) o nella biologia e nella genetica come la ricerca sulle cellule staminali (che, a dire degli scienziati, avrebbe consentito alla medicina di fare passi da gigante in molti settori non ultimo quello dei trapianti) che in Italia, come in altri paesi, è vietata o sottoposta a grosse restrizioni. Lo stesso richiamo all’opinione pubblica, al potere che può esercitare, è stato troppe volte strumentale e si è preferito fare leva su credenze più che informare e rendere consapevole il cittadino.
La democrazia è un sistema che, più di qualsiasi altro, necessita di un apparato politico e tecnico in grado di mediare e gestire la comunicazione con i cittadini. Il rischio permanente è che quando si coinvolgono gli elettori in decisioni strategiche nel campo della ricerca scientifica e tecnologica si giunga a semplificazioni strumentali e che qualsiasi questione venga trattata al pari di un’altra senza distinguo ma solo per rafforzare o indebolire gli schieramenti, i gruppi di potere, che di volta in volta si costituiscono. Gli esperti diventano opinionisti e gli opinionisti diventano esperti. Le discussioni pubbliche e private somigliano spesso a quelle in cui si commentano i risultati sportivi della squadra del cuore prendendo un caffè con gli amici.
In questa pandemia molti errori sono stati commessi proprio sul terreno della comunicazione pubblica, ma se sbagliare è umano, perseverare è diabolico.
Oggi una decisione politico-economica della Commissione Europea apre un nuovo fronte ancor più problematico perché commettere errori in questo settore può cambiare le condizioni di vita sull’intero pianeta e per periodi molto lunghi, in modo pressoché irreversibile: l’uso per scopi civili dell’energia nucleare. Sulla questione si è già partiti con il piede sbagliato e, sgonfiata una bolla comunicativa, un’altra rischia di gonfiarsi a dismisura o passare in sordina.
Rachele Renno su queste pagine ci ha raccontato come la decisione-proposta della Commissione Europea di considerare la costruzione di nuove centrali nucleari o a gas naturale, in una prospettiva transitoria, compatibile con le politiche ecologiche volte a limitare il surriscaldamento globale, abbia creato scompiglio nei governi dei paesi membri. La potente Germania ha programmato lo smantellamento delle proprie centrali nucleari; l’Italia le ha messe al bando con chiari e inequivocabili pronunciamenti popolari; la Francia, che soddisfa il proprio fabbisogno energetico grazie alle tante centrali nucleari disseminate sul proprio territorio, si è trovata improvvisamente legittimata a perseverare nella sua politica energetica.
Grazie al forte impatto emotivo provocato dalla perseveranza mostrata dalla giovane donna svedese Greta Thunberg contro i danni provocati all’ecosistema Terra dalle attività umane, gli allarmi lanciati da molti e stimati scienziati in tanti anni sembravano finalmente trovare ascolto. Anche il tanto decantato Piano Europeo, le enormi risorse finanziare messe a disposizione per rilanciare le economie europee ha assorbito nei suoi principi guida l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra, considerati i principali responsabili dell’innalzamento della temperatura del pianeta Terra.
Gli ambientalisti e le diverse autorità governative hanno volutamente giocato su un equivoco, ma si sa il rigore non appartiene alla comunicazione di massa e così si sono sovrapposti, quasi a renderli fungibili, due concetti tra loro assai diversi come il surriscaldamento globale e i cambiamenti climatici. Il primo è certamente provocato in modo determinante dal comportamento umano, da come e cosa si produce e si consuma. Il secondo è cosa assai più complessa e, come ci dicono i climatologi, è il risultato di un mix dove intervengono addirittura fattori astrali, come le ricadute delle esplosioni che avvengono nella stella Sole, le modificazioni dell’inclinazione dell’asse terrestre nella sua rivoluzione intorno ad essa e altri eventi al di fuori della portata dell’agire umano. I repentini cambi di stagione, l’alternarsi tra stagioni più o meno piovose, le buche nelle strade cittadine, le alluvioni in aree malamente cementificate, vengono addebitate ai cambiamenti climatici. Basterebbe interrogare un anziano contadino o leggere qualche romanzo in più per rendersi conto di come queste siano delle irregolarità naturali. Un aneddoto. Abbiamo ascoltato oscene, irriverenti imprecazioni e maledizioni di una signora contro chi non si preoccupa delle questioni ecologiche, frase pronunciata con calma e in perfetto italiano, perché il suo bucato steso ad asciugare durante la notte era stato bagnato da pioggerellina autunnale.
Purtroppo nessun esponente autorevole del recente e ampio movimento ecologista si è espresso con chiarezza sulla differenza sostanziale dei due aspetti, sperando che il catastrofismo potesse aiutare a prendere decisioni troppe volte rinviate.
Alla lunga l’ambiguità non paga. I funzionari tecnici che elaborano i provvedimenti politici dell’Unione Europea, preoccupati di far quadrare i conti energetici, hanno proposto di applicare gli stessi criteri adottati nelle operazioni contabili. Posto come prioritario l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra lasciando inalterato il livello della produzione energetica, se si sostituisce una centrale a carbone che produce un X di energia con Y emissioni di gas serra, con una centrale ad energia nucleare in grado di produrre energia pari a X+1 ma emettendo gas serra per una quantità molto inferiore a Y se non addirittura nulla, questa è da considerarsi automaticamente in linea con gli obiettivi prefissati. Tutto l’inquinamento derivante dal rischio di contaminazione allo smaltimento del materiale radioattivo “esausto”, il rischio di incidenti, di furti e di utilizzo militare e/o terroristico del materiale radioattivo, passa in secondo piano.
È questo un risultato derivato dall’ingenuità del movimento ecologista abilmente sfruttato anche da scienziati e tecnici che hanno rilanciato l’idea dell’utilizzo dell’energia nucleare.
I tecnici e gli scienziati però non si espongono più di tanto e vogliono far passare la loro idea progettuale utilizzando una frase: in una prospettiva transitoria.
A parità di livelli di consumo energetico le soluzioni tecnologiche disponibili non sono molte e ognuna ha delle controindicazioni. Una centrale fotovoltaica in grado di produrre la stessa energia di una centrale elettrica tradizionale – a carbone, a gas, idraulica o nucleare – sarebbe di dimensioni abnormi, consumerebbe suolo occupando fisicamente migliaia di ettari di terra fertile. Le pale eoliche sono considerate deturpatrici del paesaggio e anche loro dovrebbero essere molte di più e concentrate in un solo luogo per soddisfare il fabbisogno delle grandi metropoli o dei mega impianti industriali, e così via.
Il Sole24ore, recensendo il testo enciclopedico The Firy Take of Nuclear Fusion di L.J. Reider, ci informa che la tecnologia in grado di utilizzare la fusione nucleare, energia totalmente pulita, è ben lungi dall’essere disponibile.
Pur abbandonando ogni velleità rivoluzionaria, ogni ipotesi di un cambiamento repentino e globale nei modi di produrre, consumare e distribuire la ricchezza, sono gli stessi tecnici e scienziati che ripropongono livelli di ambiguità. Si parla di centrali di nuova generazione. Di cosa si tratta, la tecnologia è già disponibile? Come sono stati ridotti, se lo sono stati, i rischi di disastri nucleari? È stato risolto il problema dello smaltimento del materiale esausto solo per l’utilizzo nelle centrali ma ancora pericolosamente radioattivo o la questione permane in tutta la sua problematicità?
Come sopra ricordato la questione della correttezza nella comunicazione, istituzionale e politica, è oggi una priorità da rispettare pena il collasso dei sistemi democratici. Ai tecno-scienziati va posta una questione cruciale: perché si ragiona in una prospettiva transitoria? Forse perché nessuno dei problemi posti dai movimenti antinuclearisti è stato risolto ma rimane il problema della sostituzione delle fonti energetiche. Qualunque tecnologia nucleare si volesse utilizzare, rimangono i problemi legati alla formazione di una nuova generazione di tecnici specializzati, di produzioni finalizzate e ai tempi lunghissimi per realizzare una centrale. Come si coniuga tutto ciò con una logica “transitoria”? Gli obiettivi prefissati dai governi sono di qualche decennio per evitare il raggiungimento di un punto di non ritorno nel livello di surriscaldamento globale e qualche decennio sarebbe necessario per realizzate nuove centrali nucleari. Una contraddizione nei tempi, ancor più che nei termini, per considerare come transitoria la scelta nucleare. Le ideologie, si è detto, fanno male alla democrazia. Tutte, però, non solo quelle anticapitalistiche.
Quello democratico è un processo in continua modificazione ma in questo percorso non si può procedere con il passo del gambero, uno avanti e due indietro, magari fermarsi e riflettere un po’ prima di scegliere quale direzione imboccare servirebbe a tutti. Quello che si chiede ai cittadini è di esprimere il proprio consenso, ma i cittadini devono essere correttamente informati e questa pratica non può ridursi alla compilazione di un modulo o di una scheda elettorale altrimenti l’invito alla razionalità è un appello sterile.
La sfida contemporanea cui è chiamato l’intero mondo tecnico scientifico è questa: la legittimità e l’autorevolezza si conquista attraverso il rigore e la chiarezza anche quando si illustrano i risultati conseguiti dalla ricerca e le soluzioni tecnologiche proposte manifestando anche il proprio dissenso da scelte politiche.