L’Italia s’è desta?

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Copertina dell’edizione del 1860 (Fonte: Wikipedia).

Nel 1992, la regina Elisabetta definì quell’anno come un “Annus Horribilis” per diversi motivi che riguardavano la famiglia reale. Dopo più di trent’anni anche noi possiamo far uso della stessa espressione ma, questa volta, applicandola al mondo intero, e per motivi che qui è inutile elencare perché a conoscenza di tutti (pandemia, cambiamento climatico, diritti umani, guerre locali, ecc.). Ma poiché siamo italiani, ci limiteremo a gettare uno sguardo sul nostro Paese che, oltre a un tremendo anno trascorso, si trova di fronte ad altri 365 giorni che ogni previsione indica come molto difficili e con, in più, un elemento di cruciale importanza: l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Siamo tutti, ritengo, consapevoli che dopo il settennato di Sergio Mattarella, che ci ha abituati a una presidenza caratterizzata da un altissimo senso del suo ruolo, da una dignità, sobrietà e signorilità ineccepibili, trovare nella cerchia del panorama politico attuale una figura che possa non farcelo rimpiangere troppo è impresa ardua. E questo perché, spiace doverlo dire, negli ultimi anni abbiamo assistito – e continuiamo ad assistere – a un costante e apparentemente inarrestabile degrado e impoverimento della classe politica. Fare i nomi di chi, ormai da tempo, la rappresenta ed elencarne l’assoluta inadeguatezza è esercizio inutile; chi, anche se distrattamente, segue le cronache quotidiane e dà un’occhiata ai giornali, non può non essersi reso conto del bassissimo profilo che caratterizza pressoché tutti i leader dei tanti partiti dell’arco costituzionale, alcuni dei quali rappresentati in Parlamento in dosi omeopatiche e che, nonostante ciò, sgomitano per un posto al sole. In due nostri recenti articoli abbiamo già affrontato questo argomento, ma, poiché pochi giorni ormai ci separano da questo evento, che avrà ripercussioni importantissime sulle sorti del nostro Paese, ci sembra opportuno occuparcene nuovamente.

Inizialmente, avevamo voluto semplicemente ritenere nient’altro che una boutade la candidatura di un personaggio, Silvio Berlusconi, che una sua devota ancella, l’ex ministra Mariastella Gelmini, ha definito un “federatore”, cioè uno che è in grado di riunire, di federare, di ricucire, di pacificare, un Paese profondamente diviso. La piaggeria o, se vogliamo, la cecità politica possono essere due delle numerose spiegazioni per un’uscita del genere; e sono, a ben vedere, un’offesa a quegli italiani perbene che hanno sempre considerato – e continuano a considerare – la “discesa” in politica del tycoon di Arcore una delle peggiori iatture della nostra ancor giovane storia repubblicana. Il padrone di Mediaset, lungi dall’essere un federatore, è stato la causa di profonde e spesso insanabili lacerazioni nel corpo elettorale italiano, la maggior parte del quale ha visto in lui le qualità negative che, non solo in un uomo politico, ma anche semplicemente in un uomo, lo rendono assolutamente inadeguato a ricoprire la più alta carica dello Stato. Un vegliardo che si circonda ancor oggi di “vestali” giovanissime che nel corso del tempo hanno contribuito ad accreditarne la fama di tombeur de femmes o, più semplicemente di “sciupafemmine”, con quale ardire potrebbe rivolgersi agli italiani, e ai più giovani fra loro, come un modello di dignità? E non solo per questo aspetto. Susciterebbe soltanto un’ondata di ilarità, mai di rispetto. In un’analisi recente l’ex ministro Rino Formica trae la conclusione che “lui [Berlusconi] stia usando la sua candidatura come elemento di sopravvivenza, ‘Gli altri mi ignorano e io mi candido’, in questo modo conforta se stesso”. Quali che siano i motivi che spingono quest’uomo nelle sue non condivisibili, pur se legittime, ambizioni, essi non interessano in alcun modo agli italiani. Dovrebbero, invece, interessare, eccome, a coloro che si accingono a tale elezione, perché, e questo dovrebbe essere ben chiaro a tutti loro: se il Parlamento e i Grandi Elettori scegliessero Silvio Berlusconi come Presidente della Repubblica, sarebbe come se il Conclave cardinalizio insediasse al soglio pontificio un impunito e notorio peccatore. Un momento dopo tale elezione, e parafrasando l’ode manzoniana su Napoleone, “dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno”, l’intero mondo occidentale (e anche la restante parte) si convincerebbe – ingiustamente, ma costretto dall’evidenza – a ritenere gli italiani riassunti nel loro Capo, perché il Presidente è l’unico che la Costituzione definisce “Capo”.

L’altro, e non meno importante aspetto del problema, che abbiamo più volte sottolineato, è lo spessore della nostra classe politica nel suo insieme. Ad essa ci sembra appropriato applicare le parole che, sebbene allora pronunciate da un ancora oscuro, giovane palestinese, mantengono ancor oggi tutta la loro attualità e pregnanza: “Come pure se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà sussistere” (Marco 3:25). Parole che, dopo duemila anni, sono entrate a far parte del nostro inno nazionale, ripetute volte ascoltato in questo scorcio d’anno dato il particolare periodo festivo, nella parte in cui esso recita: “Noi siamo da secoli, calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi”.

La Repubblica in cui viviamo è la nostra casa, e non c’è dubbio che essa sia profondamente divisa proprio da chi dovrebbe averne cura, avendone a cuore l’interesse nazionale. E invece è un campo di battaglia dove si scontrano interessi inconfessabili e dove gente venuta dal nulla, priva di qualsiasi competenza in campo economico, scientifico, culturale, etico, pretende, pontificando quotidianamente, di stabilirne le sorti, vellicando pulsioni che mettono i suoi cittadini “l’un contro l’altro armati” – per continuare ad attingere al Manzoni – come nella vicenda dei più di cinque milioni di no-vax, quando il loro compito dovrebbe essere quello di fare di tutto per pacificare, riunire, sedare. Il rischio che il Paese corre, in mano a politici di questa fatta, è che si avverino le parole del già citato Formica, secondo il quale «con questo Parlamento incontrollabile, preoccupato soltanto del fatto che un terzo d’esso è in soprannumero e non sarà ricandidato, è che si elegga come Capo dello Stato “un signor Nessuno facile da controllare, non autorevole”».

Siamo, quindi, al dunque, al redde rationem. Non ancora reduci, ma pienamente immersi in un’emergenza che continua a mietere vittime, avremmo bisogno, per “proteggerci dal male”, di solidarietà, di una lettura condivisa del bene spicciolo, morale e materiale, che possiamo scambiarci nella vita di tutti i giorni, passando dalla compassione alla condivisione, dalla carità ai diritti. E, per continuare con le parole di Ezio Mauro, che sto citando: “Perché è così difficile una lettura condivisa del male? La pandemia ce lo conferma ogni giorno. La maggioranza innaturale, d’emergenza, che regge il governo Draghi sta insieme per manifesta impotenza politica, senza essere capace di trovare nella lotta contro il virus la ragione sociale, scientifica e soprattutto morale di una solidarietà necessitata. Manca l’elemento fondamentale, una comune interpretazione del male da combattere. Senza questa non c’è vera solidarietà, non c’è alleanza, ma solo un gregge senza immunità”.

La ormai imminente elezione del nuovo Presidente sarà la cartina di tornasole per rivelare quanto a cuore dei nostri rappresentanti stia il bene della Nazione, o quanto stia loro a cuore, invece, qualcosa di profondamente diverso. Noi cittadini, che non possiamo intervenire in questa fase, dovremmo però, con le nostre scelte e con le nostre voci, far sentire da che parte stiamo; e, si spera, che sia la parte di un’Italia desta e ancora orgogliosa, e non fiaccata come colui al quale qualcuno vorrebbe affidarla.

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