Il “giallo” del Quirinale

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Roma. Palazzo del Quirinale e obelisco con dioscuri (Foto di Wolfgang Moroder)

Mattarella non perde occasione per ribadire il suo diniego alla rielezione. Malgrado i sei minuti di applausi alla prima della Scala, il Presidente ha salutato il Pontefice, il corpo diplomatico e proseguirà con cadenza giornaliera col C.S.M da lui presieduto, poi con la Corte costituzionale, il Consiglio di Stato, senza trascurare il Direttore delle Scuderie del Quirinale, il capocuoco delle cucine presidenziali ed anche il custode di Castelporziano. Occorre quindi trovare assolutamente un successore.

Il “giallo” delle elezioni presidenziali è quindi in pieno svolgimento ma con un singolare enigma: si sa chi sono i potenziali assassini, ma non si conosce il nome della vittima. Tra i sospettati ci sono i franchi tiratori appostati un po’ dappertutto ma soprattutto nel M5S e nel partito “dei franchi tiratori” agli ordini di Renzi, pronti ad impallinare qualunque candidato che non porti lustro e visibilità a chi comanda il plotone di esecuzione. Vittima designata sarà invece il candidato intorno al quale i partiti cercheranno un accordo che ne permetta l’elezione con la più ampia maggioranza. Se si guarda ai nomi circolanti al momento, ma chissà quanti ancora se ne faranno, la rosa dei candidati è molto ristretta e, in definitiva, si riduce al solo Draghi perché la Cartabia, pur volendo riconoscerle l’autonomia dai partiti, potrebbe non raccogliere tutti i voti del M5S, che non ha per niente gradito la sua riforma della giustizia e potrebbe impedirne l’elezione a maggioranza qualificata.

Chi ha interesse ad evitare la salita di Draghi al Colle? In primo luogo tutti i parlamentari che temono un eventuale scioglimento anticipato delle Camere, e non sono pochi: nel M5S, in Italia Viva, nei gruppi misti e nei tanti partitini che si accapigliano per occupare il centro. Che i franchi tiratori siano temuti da Draghi è una realtà ineluttabile: nessun partito tra quelli che sostengono il suo governo può garantire la disciplina dei propri parlamentari nel segreto dell’urna. La mancata elezione di Draghi al primo turno, anche se solo per un pugno di voti, distruggerebbe anche il governo: non è infatti pensabile che Draghi continui a candidarsi accontentandosi solo di una deludente maggioranza semplice: con quale autorevolezza potrebbe tornare a guidare il governo dopo la sconfitta? Se la fine del governo Draghi può dipendere dunque dalla mancata elezione al primo turno, anche la destra potrebbe essere tentata di negargli il voto al Quirinale: con questa mossa riuscirebbe infatti a conquistare sia il Quirinale che il governo-ponte fino al termine della legislatura. Infatti, se perdura la simpatia di Renzi per la destra, ci sarebbero i voti per installare al Colle Berlusconi o un suo fedelissimo (Casellati, Gianni Letta o chissà quale altro duttile personaggio) e forse anche per sostenere il nuovo governo col supporto dei noti mezzi di persuasione di cui il neo presidente continuerebbe a disporre.

La candidatura di Draghi al Quirinale é dunque una scelta estremamente rischiosa e come tale andrebbe evitata. Non mancano nel Paese figure si sicuro prestigio, estranee ai partiti e quindi affidabili sotto il profilo dell’imparzialità, la cui ascesa al Colle metterebbe al riparo il governo Draghi disinnescando tutte le mine vaganti cui si è fatto cenno. La categoria alla quale attingere non può che essere quella di ex appartenenti dell’alta magistratura. Si pensi innanzitutto ai presidenti emeriti della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, Giuseppe Tesauro, ma anche a Giovanni Canzio ex presidente della Corte di Cassazione, tenendo da parte, per motivi puramente anagrafici, personaggi come Sabino Cassese, Paolo Grossi e Francesco Paolo Casavola. Figure di rilievo come quelle appena ricordate darebbero garanzia di imparzialità anche se fossero eletti con la maggioranza semplice, così come la stessa Cartabia, perché non sarebbero viste come espressione diretta di questo o di quel partito. E lascerebbero in vita il governo Draghi.

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