Lo scorso 16 dicembre è stato il giorno dello sciopero generale di CGIL e UIL contro la manovra di bilancio del governo. In un editoriale di www.collettiva.it, il direttore Stefano Milani ha sciorinato una carrellata di aggettivi appioppati alla mobilitazione della CGIL e della UIL: «Inatteso, surreale, grottesco, ingiustificato, irresponsabile, schizofrenico, disastroso, vergognoso, svantaggioso, impresentabile, deleterio, imbarazzante, dannoso, ridicolo, patetico, controproducente, eversivo, vile, sfigato, paradossale, ideologico, pericoloso, folle. Questo lungo elenco di affettuosi epiteti, apparso sui principali giornali e tv di tutto il Paese in questi ultimi giorni, si riferisce al vecchio e vituperato sciopero generale».
Invece, come ha riconosciuto Elsa Fornero sul quotidiano La Stampa, oggi in Italia nessuno protegge giovani e precari e perciò sono “comprensibili” le scelte di Cgil e Uil; pure il sociologo De Masi, in una intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, ha dichiarato: «Contro la pandemia salariale, protesta sacrosanta», condividendo l’appello di Landini: «In piazza per combattere una pandemia salariale e sociale che non ha precedenti». Per usare le parole della vicesegretaria generale della Cgil, Gianna Fracassi, «Solo noi rappresentiamo chi soffre e non è ascoltato. È inaccettabile che il poderoso rimbalzo economico a cui stiamo assistendo si poggi su occupazione precaria e discontinua, su un impoverimento dei lavoratori e che le donne – le prime a perdere il lavoro – siano le più escluse. Questo tema non è centrale nelle scelte di politica economica ed è tanto più inaccettabile oggi perché siamo nella fase di utilizzo dei fondi del Pnrr» (il manifesto). C’è da affrontare una sfida epocale: coniugare gli investimenti agli obiettivi di piena e buona occupazione; la si potrà vincere solo cambiando le coordinate delle politiche economiche e sociali.
Come ha evidenziato Renato Fioretti, la “riforma” fiscale del governo Draghi ignora le iniquità nella tassazione e riduce ulteriormente il grado di “progressività” dell’Irpef. Altrove abbiamo evidenziato che «L’accordo politico raggiunto da Draghi con i partiti della maggioranza sul tema del fisco appare a dir poco sconfortante.» Contestando, infatti, l’iniquità della riforma fiscale in legge di bilancio, Landini ha denunciato: «Chi prende poco avrà ben poco. Prendete le buste paga dei lavoratori e si vede che se hai 15 mila euro di reddito, il vantaggio è poco meno di 6-7 euro lordi al mese. Chi prende 5-6 volte, ha dei vantaggi di 7-800 euro l’anno. Questa è una ingiustizia».
Inoltre, da parte sindacale si è evidenziato come, nel caso dell’intervento fiscale, il Governo si è limitato alla semplice informazione senza consentire non solo di avviare un confronto ma neppure di poter rimettere in discussione un accordo sbagliato per lavoratori dipendenti e pensionati. C’è chi legge in questa condotta un sottile tentativo di disintermediazione dei sindacati rispetto ai lavoratori che essi rappresentano. Anche per questo Landini ha ammesso: «lo sciopero è politico, non per difendere interessi particolari ma per cambiare questo Paese. Dovrebbero ringraziarci per lo sciopero generale perché quello che si sta determinando è il rischio di una rottura democratica di rappresentanza tra i cittadini e il Palazzo della politica. Se il 60-70 per cento dei cittadini non va più a votare suona un campanello d’allarme pericolosissimo. Certo stiamo facendo politica, ma nel senso più nobile di questo termine come dovrebbero fare quelli che sono stati votati per fare politica».
Ovviamente, pensioni, fisco e lotta alla precarietà sono temi che non si esauriscono con lo sciopero; intanto, però, con lo sciopero generale si è riaperta una discussione su questi temi nel Paese.
Analisi e presa di posizione puntuali ed entrambi sottoscrivibili. Il tema del recupero della rappresentanza dei settori più precari della società, lasciata in parte a certa destra populista, sarà centrale nei prossimi anni. Speriamo che dopo il sindacato se ne accorgano anche i partiti.