Talk show: tanto volume, poca consistenza

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Immagine da clipground.com

Ci voleva la pandemia con i suoi interminabili dibattiti televisivi per proiettare un cono di luce sulle responsabilità che l’informazione a mezzo antenna ha da decenni nel condizionare l’opinione pubblica in senso negativo rispetto alla comprensione di fenomeni politici, sociali e, come stiamo vedendo, anche scientifici.

Nelle ultime due settimane abbiamo potuto assistere a numerosi episodi significativi in proposito. Mario Monti, ospite dalla Gruber, ha detto che se quella che stiamo combattendo col Covid è una guerra, l’informazione deve adeguarsi e quindi diventare meno democratica. Ha poi dovuto spiegare, dopo il vespaio sollevato, che meno democratico voleva significare con una maggior disciplina nel dare informazioni rispetto alla pandemia, evitando l’accesso di infinite voci spesso non qualificate. Mentre rientrava il caso Monti, imperversava, sempre dalla Gruber, Massimo Cacciari. Abbiamo assistito all’ennesima pantomima nella quale il filosofo si è scagliato col solito tono di sprezzante superiorità contro tutto quanto si va facendo nel nostro Paese per contenere i contagi. L’inusuale circostanza della sua presenza fisica in studio ha spinto la sua indole aggressiva a “sbroccare” inducendolo a definire “merda” le contestazioni che gli venivano giustamente rivolte e a minacciare di lasciare lo studio senza darvi seguito, come ormai d’abitudine. Dato il comportamento, sarebbe stato giusto cacciare Cacciari: da grande filosofo quale è l’avrebbe certamente presa con filosofia. Il suo conclamato narcisismo lo ha invece spinto a costituire, insieme al collega Agamben, al massmediologo Freccero e al giurista Mattei, la “Commissione dubbio e precauzione”. Considerate le posizioni piuttosto passive assunte dai componenti della commissione rispetto alla pandemia l’appellativo più appropriato sarebbe stato “I quattro cavalieri dell’Apocalisse”.

Sollecitata dalle polemiche in atto è poi sopravvenuta la ferma presa di posizione di Enrico Mentana, direttore del TG7, che ha definito i no vax “Coloro che si battono attivamente contro il vaccino, affastellando teorie cospirazioniste e rapporti pseudo scientifici, terapie alternative di nulla consistenza e dati falsificati su contagi, ospedalizzazione e decessi”, aggiungendo poi che “Dare loro voce non è per nulla esercizio di pluralismo o democrazia e, chi lo fa, per audience, lo giustifica dicendo che così quei personaggi si screditano da soli”; concludendo, infine, che “La coscienza mi impone quando si ascoltano, ad esempio, persone affermare che quelle immagini delle bare di Bergamo erano fiction, di non dare loro la possibilità di contrapporsi alla realtà”.

La tirata di orecchie di Mentana, ancor più di quella di Monti, ha dato la stura alle proteste di giornalisti e conduttori televisivi che, toccati nel vivo della loro sensibilità deontologica, hanno tirato in ballo l’articolo 21 della Costituzione il quale dispone: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La Carta costituzionale sembra sin dall’inizio essere diventata l’arma letale nelle mani di chi ha contestato nel tempo lockdown, green pass, super green pass e obbligo vaccinale. Forse un fine costituzionalista potrà anche riscontrare elementi di fondatezza nel giudizio di incostituzionalità di alcune misure, ma noi semplici osservatori appena dotati di qualche nozione di diritto abbiamo guardato con fiducia alla stragrande maggioranza dei giuristi intervistati in proposito. L’unica contestazione seria nei confronti dell’azione di governo ci è sembrata quella che bocciava l’adozione di un semplice DPCM, in luogo di una legge, per porre limiti alla libertà di circolazione dei cittadini, come previsto dall’art. 16 (Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche). Totalmente infondate ci sono invece parse le accuse di illegittimo prolungamento dello stato di emergenza oltre i limiti perché questi limiti sono fissati dalla legge sulla protezione civile e non certo dalla Costituzione, la quale si è guardata bene dal prefissare la durata massima di uno stato di emergenza che potrebbe nella realtà durare anche anni. Per non dire della speculazione dei no vax tendente a minimizzare l’obbligo prioritario di tutela della salute pubblica contenuto nell’art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Al momento quelli che contestano la posizione di Monti ma soprattutto quella del loro “collega” Mentana si aggrappano maldestramente all’articolo 21 sopra richiamato rivendicando il diritto/dovere di informare. Qualcuno di loro sostiene addirittura che Monti e Mentana vogliono comprimere il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, tesi che non regge più di tanto perché nessuno ha impedito ai no vax di esprimere il proprio pensiero con tutti i mezzi, comprese le manifestazioni di piazza puntualmente documentate dai media. Ed è qui, sull’individuazione dei “mezzi di diffusione”, che nasce l’equivoco: è un diritto dei no vax essere invitati in programmi televisivi per esporre il loro punto di vista? La risposta è ovviamente negativa, mentre è vero che la TV ha il dovere di informare i telespettatori dell’esistenza, del pensiero e delle manifestazioni pubbliche dei no vax. Ma la TV, ed è questo il punto cruciale, non è tenuta ad invitare nei suoi studi i no vax così come non è tenuta ad invitare i terrapiattisti o i negazionisti in generale. Se lo fa, dovrebbe rispettare alcune semplici regole mentre invece la cosa avviene nei normali binari dei confronti televisivi sbilenchi, in cui uno stimato virologo vale quanto un qualunque giornalista, che portano tutti, senza alcuna eccezione, all’aumento dell’audience. Lo ha riconosciuto, e bisogna dargliene atto, Concita De Gregorio, giornalista e conduttrice televisiva che su la Repubblica del 10 dicembre concludeva la sua rubrica giornaliera scrivendo: “Gli ascolti generano pubblicità, dunque denaro (e posizioni di potere, e popolarità). Alimentare la rissa paga, tecnicamente. Perché gli ascolti salgono, dunque evidentemente perché chi ha in mano il telecomando preferisce vedere la donna barbuta che urla allo scienziato anziché due persone competenti che discutono. Quindi la questione è questa. Chi esercita il disarmo unilaterale (e rinuncia allo scontro No-Si Vax) perde la partita degli ascolti. Allora come si cambiano i gusti di chi vuole la rissa, senza dar loro in pasto la rissa, giacché in questo caso cambiano canale?”. Purtroppo nessun conduttore rinunciava alla rissa già prima del Covid. Qualcuno di loro lo fa occasionalmente quando gestisce una rubrica quotidiana, come la Gruber, ma quelli che conducono programmi settimanali aizzano puntualmente allo scontro. Lasciando da parte i programmi Mediaset (recentemente Berlusconi, probabilmente per scopi personali a sfondo quirinalizio, ha intimato ai suoi fidi Del Debbio e Giordano di abbassare il tono no vax dei loro programmi), se ne potrebbe fare una graduatoria nella quale spiccherebbero i nomi di Floris, Giletti, Myrta Merlino e Formigli fomentatori consapevoli di scontri televisivi: nella puntata di “Di Martedì” dello scorso 8 novembre abbiamo dovuto ascoltare le sciocchezze di un elevato numero di no vax e no pass che hanno però prodotto viva soddisfazione nel conduttore, tanto intelligente quanto furbescamente attento all’audience.

Perché nessuno invita un no vax reduce da un paio di settimane di sala rianimazione, ormai ce ne sono a bizzeffe, per un confronto con un suo ex “confratello” ancora non contagiato dove la rissa sarebbe, una volta tanto, giustificata? Perché non si organizzano dibattiti di soli scienziati facendoli parlare di ciò che conoscono ed evitando di chiedere loro chi vedono come futuro ospite del Quirinale? È evidente che non si può andare avanti così. Occorrono norme o codici di autodisciplina che mettano al sicuro i telespettatori da forme di disinformazione o, peggio ancora, di pericolose suggestioni. Un problema grosso di cui solo un cieco può non vedere il nesso con i risultati avvilenti del rapporto Censis di quest’anno.   

2 commenti su “Talk show: tanto volume, poca consistenza”

  1. ADRIANO FERRARA

    Come al solito un’analisi perfetta di un fenomeno, che potremmo definire “informazione deviata a beneficio dello share”, indice di un più generale decadimento dell’intera programmazione televisiva, argomento sul quale stavo anch’io preparando un articolo. Mi hai preceduto!

  2. elio mottola

    Spiacente di averti preceduto ma sono certo di averti lasciato ancora lo spazio per trattare un argomento sul quale c’è ancora tanto da dire.

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