Cile: polarizzazione alle elezioni presidenziali

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Piazza Baquedano, Santiago de Chile (Fonte: pixabay.com)

Lo scorso 21 novembre si sono tenute in Cile le elezioni per il prossimo mandato presidenziale e per il rinnovo del Parlamento cileno. I risultati del primo turno di votazioni sono stati piuttosto sconcertanti: in primis, la percentuale di elettorato recatosi alle urne è stata ben al di sotto della soglia sperata, appena un 45,4% di votanti, meno della metà degli aventi diritto.

Nessun candidato ha ottenuto la maggioranza, ma i due più votati sono stati: Josè Antonio Kast, 55 anni, candidato di estrema destra e fratello di un ministro di Augusto Pinochet, favorevole a politiche ultraliberiste e sostenitore di dure misure di sicurezza interna, e Gabriel Boric, 35 anni, esponente di sinistra, parte del movimento studentesco del 2019, che ha partecipato all’estallido social cileno contribuendo alla riscrittura della Costituzione. Nella sua agenda Boric propone maggiore attenzione ai diritti dei popoli indigeni, riforma dell’educazione e del mercato del lavoro.

Kast ha ottenuto il 27,9% dei voti, poco al di sopra di Boric che si è attestato al 25,7%. Il terzo candidato, definito candidato fantasma, è stato Franco Parisi, che ha raggiunto il 13%, partecipando alla tornata elettorale in remoto, precisamente dagli Stati Uniti, in via telematica.

I risultati di questa votazione ed i due candidati che si sfideranno il prossimo 19 dicembre mettono in luce la fortissima polarizzazione della società cilena. Una polarizzazione che non ha mai cessato di esistere, dall’epoca di Salvador Allende, e che, anche dall’inizio della democrazia nel 1991, ha continuato a dominare il Paese andino. Il forte scossone dell’estallido social sembrava aver risvegliato con forza le rivendicazioni della classe media e delle fasce più vulnerabili della società cilena. Le pressanti rivendicazioni sociali riguardo un’educazione di qualità, diritti salariali adeguati, fine della privatizzazione, maggiore riconoscimento dei diritti delle donne e delle popolazioni indigene si sono scontrate con una crescente sfiducia nei confronti dei partiti tradizionali. Si deve infatti tenere conto che in quello che era definito il Paese più stabile e in crescita dell’America Latina, le politiche neoliberiste hanno fatto sì crescere economicamente il Paese, principalmente grazie all’export, ma hanno allo stesso tempo fortemente acuito le disuguaglianze al suo interno. L’11% della popolazione (che conta in totale circa 20 milioni di abitanti) soffre la fame e versa in condizioni di estrema povertà. Perciò sorprende la percentuale di voti raggiunti dal candidato Kast, nella cui agenda politica, tra le altre cose, sono previste misure di ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro e militarizzazione delle frontiere esterne del Paese per bloccare i flussi migratori, principalmente in arrivo da Venezuela, Colombia e Haiti. Per le sue posizioni politiche questo candidato cileno è stato paragonato a Jair Bolsonaro in Brasile o a Donald Trump negli Stati Uniti.

L’elezione della nuova assemblea costituente per riscrivere la Costituzione risalente all’epoca di Pinochet aveva dato speranza ad un popolo che ha lottato duramente per circa due anni per portare all’attenzione pubblica e delle istituzioni le proposte popolari. Una vittoria della politica dal basso che nel Paese è ancora fortemente radicata, con un ruolo delle assemblee ancora molto forte.

Com’è dunque possibile che Kast abbia ottenuto questi risultati? La risposta probabilmente è: la politica della paura. Ci sono numerose questioni che stanno generando preoccupazione nella popolazione cilena: forte pressione migratoria dal Venezuela nelle regioni del nord del Paese, crescenti scontri nei territori delle comunità mapuche e la pandemia da Covid-19 che, oltre ad acuire le disparità sociali, ha provocato gravi danni economici che fanno temere una grave crisi nel Paese andino.

Dunque, aspettando il prossimo 19 dicembre, ciò che adesso ci si chiede è quali saranno le possibili coalizioni di governo per ottenere una maggioranza: da un lato Gabriel Boric ha il sostegno del Partito Comunista e del Frente Amplio e, per ottenere una larga maggioranza, dovrebbe aprirsi a possibili partiti di centro sinistra, mentre dall’altro Josè Antonio Kast non ha trovato appoggio dal Presidente uscente Sebastian Piñera, e dunque resta un’incognita capire chi potrebbe scegliere come alleato di governo.

Ciò che più ci si augura però è che l’impegno profuso per realizzare la nuova Costituzione non vada perso, poiché nel caso in cui vincesse Kast, il testo in attesa di approvazione dal Parlamento e nuovamente votato attraverso un plebiscito potrebbe essere in pericolo. La società cilena dunque è con il fiato sospeso, e molto dipenderà dalla forte partecipazione alle votazioni di dicembre, soprattutto da parte dei giovani che sono stati i fautori delle proteste per un cambio radicale della politica cilena e soprattutto per un nuovo capitolo di democrazia, nel senso greco del termine, spazzando via le pesanti impronte del passato.

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