Dint’ ‘a nicchia ‘na capa cu ll’ossa
Nce ha lassato ‘na coppola rossa.
Chesta coppola dà ‘na voce,
Quanno ‘a famme nun è doce,
Quann”o popolo resta ‘ncroce.
(Antico canto su Masaniello,
riproposto nel 1974
dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare)
16 luglio 1647. Sotto il sole rovente di mezzogiorno, dal balcone della sua casa in Piazza Mercato a Napoli, Masaniello parla alla folla. Il popolo inferocito lo accusa di tradimento, di essersi venduto al viceré, di aver rinunciato alla rivolta contro le annose gabelle. Masaniello cerca di spiegarsi ma senza successo. Preso dalla paura scappa verso la vicina chiesa del Carmine. Oggi è la festa della Madonna e vorrebbe ascoltare l’ultima messa ma è incalzato da una massa urlante; nella concitazione degli eventi si strappa gli abiti di dosso per mostrare che non ha con sé oro o argento. Altri capi dell’insurrezione gli vanno incontro, Masaniello si crede in salvo, in realtà i sodali saranno i suoi carnefici. Lo portano in sagrestia e lo finiscono a scariche di archibugio, poi gli spiccano la testa dal collo per mostrarla al viceré Ponce de Leon duca d’Arcos, vero mandante dell’esecuzione. Il corpo mutilo invece viene scaricato nel “chiavicone del Lavinaio”. L’euforia dei nove giorni di moti insurrezionali termina così… invece no.
La rivolta continuò per altri nove mesi ed assunse connotazioni politiche e sociali più profonde. Non solo antispagnole, ma anche tese al sovvertimento delle leggi feudali ancora in auge. (Antonio Domínguez Ortiz, Historia de España, tomo 3º). Alla testa della seconda rivolta fu Gennaro Annese (1604-1648), armaiolo di piazza Mercato. Amico di Masaniello, mastù Jennaro (così era chiamato dai popolani), ricevette dallo stesso il comando delle “fedelissime truppe del Mercato” (la facinorosa formazione di lazzari, armata di canne e coltelli, che sconfisse in diversi scontri l’invincibile armata vicereale), con la concessione della “coppola rossa” (berretto indossato esclusivamente dal “capurjone”/capo popolo).
Il termine “lazzaros” era usato, in maniera dispregiativa, dagli spagnoli per definire i giovani del popolo minuto partenopeo. In realtà i lazzari costituivano una società nella società del tempo e rispondevano a un loro codice di gruppo di stampo gerarchico. Lo stesso Gennaro Annese, pur essendo quasi analfabeta, sapeva di tattiche militari, aveva idee liberali e conosceva lo scenario politico europeo mutatosi a causa della “guerra delle Fiandre”. Mastù Jennaro pianificò e guidò i riusciti assalti dell’agosto 1648, alle fortezze di Castel Nuovo e Castel dell’ovo ed agli accampamenti militari dei Quartieri. Solo grazie ad una tregua gli iberici riuscirono a tenere parte della città (Pizzo Falcone e Chiaia). Gli altri quartieri restarono al comando del popolo. La nobiltà cittadina, alla mercé della plebe, tentò di reagire. Cercò prima di corrompere, vanamente, mastù Jennaro poi pagò dei sicari per eliminarlo. L’omicidio doveva avvenire durante una riunione dei “sedili cittadini”, che si tenevano storicamente presso la “sala del capitolo” nel convento di San Lorenzo. L’Annese riuscì a scampare all’attentato rifugiandosi nei sotterranei della chiesa. Il popolo inferocito linciò gli assassini ed elesse Gennaro a capo della città.
Il primo atto da reggente fu quello di invocare la protezione del regno, sottomettendolo all’egida papale e alla Corona francese. Dalla Spagna, Filippo IV, non sottovalutando l’intelligenza del nemico, decise di mettere fine alla ribellione con la forza, inviando una flotta navale. Don Giovanni d’Austria, a capo della spedizione, aveva l’ordine di cannoneggiare pesantemente Napoli dal mare. Il 21 ottobre 1647 le truppe di Gennaro Annese mieterono un altro successo sbaragliando la flotta nemica a suon di bombarde scagliate dal campanile della chiesa del Carmine. Il 22 ottobre venne proclamata la “Real Repubblica Napoletana”, la cui bandiera portava l’effige di San Gennaro e della Madonna del Carmine, tre Gigli di Francia e la scritta S.P.Q.N (il Senato e il Popolo Napoletano).
Il nuovo stato ebbe appena il tempo di battere una sua moneta ed intraprendere le prime relazioni internazionali. Il mancato appoggio militare della Francia ed i mancati rifornimenti alimentari promessi dal papato segnarono la fine dell’esperienza repubblicana. Il 6 aprile gli spagnoli rientrarono a Napoli da Porta Capuana forti di un’armata di quindicimila fanti. A nulla valse la strenua resistenza dei ribelli “casa per casa” lungo i Decumani (nella chiesa di Santa Marta in via San Sebastiano, si possono ammirare ancora i fori degli schioppi e delle colubrine sulla navata laterale), che se pur fortemente inferiori per numero ed equipaggiamento non si arresero. Gennaro Annese si costituì al Cardinale Filomarino solo dopo aver ricevuto garanzie per la salvezza dei suoi uomini. Dopo un processo sommario e dopo numerose sedute di tortura subite, il 20 giugno 1648, fu condannato a morte per lesa maestà. Il nuovo Viceré conte di Onate gli concesse “l’onore del boia” e gli risparmio il patibolo di Piazza Mercato. Gennaro Annese fu decapitato sugli spalti del Maschio Angioino. La sua testa mozzata e adorna della “coppola rossa” fu infilzata su di una picca e rimase esposta, per oltre un decennio, all’accesso della “sala dei baroni”. Quel teschio incappellato, che doveva servire come monito a qualunque sovvertitore dell’autorità costituita, divenne invece il simbolo di rivalsa contro gli oppressori di tutte le epoche. La “coppola rossa” tornò gloriosa ad ornare il capo dello scugnizzo Gennaro Capuozzo che, morendo da eroe, contribuì alla cacciata delle truppe nazifasciste da Napoli nel settembre 1943.