Come dare torto a Greta Thunberg che giudica il G20 e il COP26 due flop? Chi può credere a generici propositi differiti nel tempo pur di accogliere le richieste dei paesi più inquinatori del globo? Inutile sottolineare che il fattore tempo gioca il ruolo centrale nella questione ambientale e la parte più avveduta della scienza ne è consapevole da decenni.
Già nel 1968 era nato il Club di Roma su iniziativa di intellettuali, scienziati e imprenditori (in particolare Aurelio Peccei: c’erano una volta gli imprenditori illuminati, vedi Olivetti). Il suo “Rapporto sui limiti dello sviluppo” predisse nel 1972 che la crescita economica non poteva continuare ad infinitum a causa della limitata disponibilità di risorse. Prendendo spunto dai primi lavori del Club di Roma, l’ingegnere Roberto Vacca aveva pubblicato, già nel 1971, un best-seller dal titolo “Il Medioevo prossimo venturo”, nel quale preconizzava uno scenario futuro caratterizzato da una regressione della specie umana ad un livello pre-tecnologico. L’autore metteva in guardia il mondo dalla incontrollata esplosione demografica, causa prima dell’inquinamento planetario per l’inevitabile espansione del consumo di beni e servizi a tutto beneficio, aggiungiamo, di chi li produce accrescendo i propri utili in maniera spesso sconsiderata e immorale.
Uscì invece nel 1973, in piena crisi petrolifera, “Piccolo è bello”, best-seller mondiale nel quale l’autore E.F. Schumacher metteva anche lui in discussione il consumismo raffrontandolo alla limitatezza delle risorse offerte dal pianeta.
Tutti questi allarmi sono sistematicamente caduti nel vuoto. Nei cinquant’anni successivi non si è mai avuta l’impressione che il mondo se ne stesse preoccupando; anzi, il ventennio segnato dalla globalizzazione ha spinto i consumi a livelli estremi. Ci sono stati sul tema ambientale gli accordi di Parigi e di Tokyo, anch’essi però null’altro che una proclamazione di intenti. Le ultime assise internazionali di Roma e di Glasgow ne sono un semplice corollario accompagnato dalla consueta passerella dei capi di stato e di governo. Per la prima, brillantemente condotta dal nostro Draghi con la sobrietà che lo distingue, l’unico vero successo è stato l’accordo di gettare una moneta nella Fontana di Trevi, raggiunto dopo una lunga e logorante trattativa sulla scelta della moneta da impiegare nel lancio: alla fine è prevalsa la linea di usare la moneta da 2 euro perché di peso scaramantico maggiore di quella da 1 euro. Non si sono segnalate citazioni al riguardo ma non c’è dubbio che la scaramanzia sia il fattore essenziale nel salvataggio del pianeta, come si sa.
Il COP26 è stato invece dominato da Boris Johnson. Un’osservazione a margine: tanto Mario Draghi è british quanto Johnson è guascone. Eppure il premier inglese è apparso in questa occasione quasi sempre molto ordinato e composto: giacca, cravatta e chioma sotto controllo. Quando qualcuno si è mostrato stupito al riguardo, Johnson ha risposto che qualche volta dimentica di spettinarsi prima di presentarsi in pubblico.
Frivolezze a parte, la delusione delle nuove generazioni rispetto a queste misure chiaramente insufficienti, se non addirittura ipotetiche, è sacrosanta. Non so quanti di noi siano consapevoli che il passaggio dal fossile al rinnovabile è una chimera. Tanto da farci venire il dubbio che, difronte all’oscura prospettiva che incombe sull’intero pianeta, meglio sarebbe stato rivolgersi al nucleare: i pochi disastri registrati dalle cronache (sette, per l’esattezza), per quanto terribili, hanno interessato zone relativamente limitate (Unione Sovietica, Giappone, Islanda e Gran Bretagna), situate peraltro nella parte più progredita del pianeta. Si sospetta ovviamente che molti incidenti siano stati coperti dal segreto militare, ma finanziando adeguatamente la ricerca si sarebbero forse trovate soluzioni più sicure o almeno il modo di neutralizzare le scorie.
Comunque la mutazione climatica in atto, malgrado le ricorrenti e spesso tragiche manifestazioni estreme, sembra non sconvolgere le generazioni che, in qualche maniera, hanno beneficiato e beneficiano tuttora dello sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali. Nei confronti delle nuove generazioni le vecchie hanno contratto un debito non più solvibile. A chi ne fa parte e ancora circola sul pianeta, abusivamente perché colpevole o complice del disastro, ben si attagliano le parole di Bertrand Russell che nel breve saggio “Perché non sono cristiano”, pubblicato nel lontano 1957, scriveva: “Osservando la Luna comprendiamo ciò che diventerà la terra: un pianeta deserto, freddo e senza vita. Qualcuno dirà che questo pensiero è deprimente, toglie la gioia di vivere. Sciocchezze! Nessuno, in realtà, si affligge molto pensando a quanto avverrà fra milioni di anni. Chi dice di avere tali preoccupazioni, inganna se stesso. Ci si occupa di pericoli imminenti o non molto remoti.” Quanto siano remoti i tempi in cui la Terra diventerà invivibile o poco vivibile non è dato sapere. Affidiamoci, oltre che alla scaramanzia, alla speranza che ciò succeda il più tardi possibile e che sopravvengano eventi positivi al momento imprevisti. Tuttavia, fossi un abitante delle Barbados, comincerei già da adesso a ritirare dalla spiaggia ombrellone e sdraio.
Indubbiamente gli ultimi due summit mondiali non hanno portato grandi risultati, ma cosa avremmo dovuto aspettarci? La richiesta di cessare ad horas l’utilizzo dei combustibili fossili, l’unica vera soluzione del problema, è purtroppo un’utopia; significherebbe azzerare di colpo l’economia di Cina, India, Russia ed altri Paesi. Dobbiamo solo augurarci che i governi di questi grandi inquinatori prendano coscienza della situazione, ormai quasi di non ritorno, e programmino le loro politiche economiche in senso green!