La Costituzione italiana non richiede alcuna qualità personale per essere eletto Presidente della Repubblica: può esserlo qualunque cittadino di età non inferiore ai 50 anni purché nel pieno godimento dei diritti civili e politici. Quindi tutti possono diventarlo e non è fuori luogo ricordare che negli anni dell’Italia democristiana circolava la battuta: “Tutti possono diventare presidenti della Repubblica escluso Amintore Fanfani.” L’affermazione nasceva dalla constatazione che il senatore aretino, più volte candidato in pectore della DC, era stato sempre silurato all’ultimo momento dal suo stesso partito.
Nell’Italia degli ultimi trent’anni potremmo dire che tutti possono ancora aspirare alla massima carica istituzionale escluso Prodi, scaricato dai famosi 101. Fortuna che alla sua buggeratura ed alla “prorogatio” del mandato di Napolitano, l’elezione del nuovo presidente si incrociò miracolosamente con l’unica cosa buona realizzata da Renzi nel corso della sua micidiale parabola politica purtroppo non ancora conclusa: la designazione di Mattarella.
Oggi, a Costituzione immutata (e speriamo lo sia a lungo), si apre una nuova corsa al Quirinale in un clima confuso che rende ardua qualunque previsione e, quindi, eviterà le figuracce che in passato hanno fatto seguito ad ogni pronostico dato per certo. Fatto sta che oggi è difficile anche intravedere chi potrà essere della partita. Si potrebbe contare senz’altro su Calenda che, collocatosi al centro dello schieramento politico, si candida volentieri a tutto, ma purtroppo ha solo 48 anni e quindi è sotto soglia. Nell’identica posizione occhieggia anche Pierferdinando Casini, genero del costruttore Caltagirone, che durante gli ultimi trent’anni ha intrattenuto fraterni ed equilibristici rapporti sia con la destra che con la sinistra.
Guardando a sinistra, qualche residua speranza potrebbe nutrirla segretamente lo stesso Prodi, che ha mantenuto un certo prestigio ma si è dichiarato indisponibile ad una seconda fucilazione. Bersani, di cui neppure si parla, non sarebbe male ma, pur volendo, si temerebbero messaggi di fine anno, a reti unificate, infarciti di gustose ed efficaci metafore precedute dal canonico “Ueh ragassi!”. La cosiddetta sinistra potrebbe ancora spendere una candidatura accettabile, quella di Gentiloni: avremmo un presidente dandy.
Da un po’ di tempo ad ogni tornata elettorale spunta il nome di una donna, Emma Bonino, persona specchiata ma esponente di un partito che sin dalla sua nascita è stato quasi sempre all’opposizione, qualunque fosse la posizione politica del governo, di destra, di centro o di sinistra. Ineccepibile la sua designazione alla carica di presidente ma di un’altra repubblica e non certamente della nostra cui è praticamente estranea.
A destra il discorso si fa drammatico. Se chiedessero alla Meloni di fare dei nomi non si andrebbe oltre un La Russa (ve lo immaginate?) o una Santanché (ve la immaginate?), non certo quello del neo-fratello d’Italia Vittorio Sgarbi o quello della rampolla di Pino Rauti, che oggi, potenza della nemesi, siede comodamente in Parlamento. E dalla Lega cosa potremmo attenderci? Calderoli, autore del Porcellum e di tanti altri sfregi (maglietta che offese l’Islam, rogo di leggi accatastate in un grande falò), o forse Zaia, a condizione che promettesse di rinunciare per tutto il settennato alle giacchette attillate e alla brillantina.
Ma la destra ha il suo golden boy. No, non è Tajani, pacioccone interessato probabilmente più alla buona tavola che al protocollo quirinalizio, ma Silvio, il mago Silvio (“Sim-sa-la-bim” e sparisce la tassa di successione, “Sim-sa-la-bim” e compare la prescrizione breve, “Sim-sa-la-bim” e sparisce anche il reato di falso in bilancio). Superati da qualche tempo i bollori giovanili, Berlusconi potrebbe assicurare che il Quirinale non ospiterebbe burlesque ed altre forme di innocente trattenimento. Per molti questa garanzia non costituisce motivo sufficiente per mettere nelle sue mani l’immagine del Paese. Ci vorrebbe dell’altro e i suoi sostenitori non potranno vantare altro che i suoi meriti imprenditoriali (in Media-set virtus?). Nel frattempo i più fedeli stanno rispolverando il fortunato inno “Presidente siamo con te. Meno male che Silvio c’è!” Certo, vedere Berlusconi tra due corazzieri farebbe la felicità dei suoi più affezionati sostenitori, ma altri preferirebbero vederlo tra due carabinieri o, meglio ancora, tra due agenti della Finanza, più appropriati al reato di frode fiscale per cui è stato condannato in terzo grado. Sarebbe comunque paradossale che assurgesse alla carica di Presidente della Repubblica, e di conseguenza anche a quella del Consiglio Superiore della Magistratura, colui che definì i magistrati da lui accusati di essere ideologizzati “una metastasi della nostra democrazia”. Se vogliamo impedire che Draghi diventi Presidente della Repubblica (promoveatur ut amoveatur) bisogna augurarci un caritatevole ripensamento di Mattarella che permetta di risolvere il rebus.
In questo semiserio elenco di “papabili” manca, a mio avviso, il più plausibile: Gianni Letta.
Eccezionale! Riesci a far sorridere trattando un tema che dovrebbe farci piangere. Io ci vedrei una personalità del mondo dell’arte e della cultura; da sempre penso ad Antonio Paolucci, che comunque è stato anche ministro.