La competizione elettorale è un’occasione straordinaria per porre all’attenzione dei candidati sindaci l’esigenza d’intervenire con decisione ed urgenza sulle questioni della crisi climatica. Anche Napoli deve fare la sua parte e, alla stregua di altre città, si deve munire di un Piano di adattamento climatico, così come è avvenuto ad Ancona (2013), Roma (2014), Bologna (2015), Genova (2019), Torino (2020), Bergamo (2021). Ciò per prevenire gli effetti dello stress termico e ridurre gli impatti distruttivi, utilizzando le eventuali misure economiche europee come scritto nel PNRR.
Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici purtroppo non è ancora stato approvato. Una cosa questa gravissima e inconcepibile. L’elaborazione del piano è iniziata nel 2012 e nel 2018 è stato presentato alla competente commissione parlamentare. Assurdo, ci pare, che non si sia ancora giunti ad una sua approvazione. Fortunatamente alcune Regioni e Comuni stanno andando avanti con propri piani regionali e comunali. Ma non la Regione Campania e tantomeno il Comune di Napoli. Anche questo è assurdo visto che a parole De Magistris, che governa da 10 anni, appare più che sensibile ai mutamenti climatici, dicasi lo stesso per De Luca, che governa la Regione da più di 6 anni.
Gli effetti dello stress climatico sono molteplici, come l’aumento delle isole di calore e delle ondate di calore; la crisi della gestione idrica collegata alle precipitazioni intense, tempeste, inondazioni, alluvioni; la difficoltà della gestione idrica collegata alle minacce di siccità ed aridità; la ventosità estrema di cicloni, come uragani e tifoni. Tutti fenomeni già percepiti e verificatisi nell’ultimo decennio nella stessa città, come i frequenti uragani che appaiono nel golfo di Salerno e di Napoli, le varie tracimazioni del Sebeto, in particolare quella del 2014, che ha costretto la chiusura del traffico della Metropolitana con il pericolo d’inquinamento della rete idrica per possibili sversamenti di quella fognaria.
Alcune misure del Piano nazionale non approvato sono state però recepite dall’Ecobonus 110%, relativo all’isolamento termico, per l’edilizia privata e dal Sismabonus Casa 2020, entrambi ampiamente finanziati. Essi sono stati indirizzati principalmente verso i privati anche se gli enti avrebbero potuto parteciparvi. Non si capisce perché, ad esempio, l’istituto case popolari della Campania, il comune proprietario di un notevole patrimonio immobiliare non abbiano colto l’occasione per ristrutturare l’esistente in chiave di sostenibilità climatica. Così come non si capisce perché non si sia, almeno a livello amministrativo, messo mano a correggere le varie incongruenze, almeno tra le necessità di adeguamento e i vecchi piani regolatori che rendono inapplicabili le nuove norme ecologiche. A tal proposito, a norma di legge, i comuni sono tenuti a uniformare alle regole generali concordate i propri piani regolatori cosa che puntualmente non è avvenuta né a Napoli né negli altri comuni della regione.
Le elezioni comunali del 4 ottobre possono essere quindi l’occasione per ricominciare a far sul serio sul clima, per cominciare sia ad elaborare piani che ad attuarli. Napoli ripartirà quasi sicuramente con altri indirizzi politici per il governo della città, eppure nessuno tra i candidati sindaci si è posto questo problema seriamente, che è stato definito a livello mondiale da 55 nazioni, fra le quali l’Italia, a partire dall’Accordo di Parigi del dicembre 2015, come il primo dei problemi. Il “cambiamento climatico” sta avendo effetti devastanti sull’habitat, ma l’entità delle conseguenze disastrose è legata al modo in cui abbiamo consumato il suolo, costruito troppo e male. Napoli rischia moltissimo perché già è ampiamente compromessa. Allora, o si comincia a mettere mano sul già fatto, attuando un’inversione di rotta, o tutto sarà inutile.
Un esempio: ci sono tanti quartieri dove l’esigenza di verde, di imboschimento cittadino, di nuovi parchi pubblici non si sa dove sarebbe possibile farli, visto che ogni fazzoletto di terra è stato edificato e gli spazi che si liberano subito vengono occupati da garage o nuovi edifici. Le azioni possibili e già definite a livello europeo e nazionale sono di diversa natura: strutturali, dette grigie, (infrastrutture e tecnologie); infrastrutturali, dette verdi, (infrastrutture e aree verdi e blu), sovrastrutturali soft (informatiche, formative e progettuali). Le azioni grigie sono tese a ridurre il disagio termico sia all’interno degli edifici che negli spazi aperti esterni (pareti ben isolate, aperture ben progettate, corretta selezione dei materiali, sistemi schermanti e spazi pubblici che forniscano ombra e ventilazione naturale); il controllo della radiazione solare-ombreggiamento, orientamento e morfologia degli edifici sia nel complesso della forma urbana, che nelle ricadute sugli spazi aperti e intermedi, che nei caratteri del singolo edificio; il miglioramento dell’isolamento termico, della protezione solare, della ventilazione naturale e del raffrescamento passivo degli edifici, sono appunto precise indicazioni europee e nazionali. Le azioni verdi invece sono finalizzate al contenimento dei rischi di isola di calore e di ondate di calore. Pertanto sono estremamente importanti le azioni volte alla conservazione e al miglioramento delle aree verdi (parchi, giardini) e blu (canali, specchi e corsi d’acqua) esistenti nelle città, e la creazione di nuovi spazi per migliorare l’effetto isola di calore urbano. Queste azioni consentono non solo miglioramenti in termini climatici e di qualità dell’aria, ma sono anche portatori di una serie di vantaggi aggiuntivi a livello sociale e ambientale, favorendo la biodiversità, anche in relazione alla prevenzione di rischi idrici, favorendo il drenaggio (e lo stoccaggio) dell’acqua. Utilizzare le coperture degli edifici mediante la realizzazione di tetti verdi e blu contribuisce ad abbassare la temperatura degli ambienti interni durante l’estate, grazie ad un maggiore isolamento, e a favorire la creazione di umidità e di ventilazione naturale all’esterno, attraverso il fenomeno dell’evapotraspirazione.
In questo quadro la Commissione Europea incoraggia tali soluzioni, considerando le infrastrutture verdi come uno strumento essenziale per le strategie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Altri esempi, già presenti in alcune città per evitare le conseguenze alluvionali, sono le piazze e i garage d’acqua, che si riempiono alla bisogna per poi rilasciare le acque in modo controllato per implementare le falde stesse. A Napoli si potrebbero riadattare i numerosi antri sotterranei di tufo, peraltro già ipotizzati per depositi d’acqua in sede di costruzione. Le azioni soft sono rivolte direttamente alla formazione della cittadinanza. Esse servono per informare sugli effetti che tali periodi di calore eccessivo possono avere sulla salute umana e sulle misure anche semplici che possono essere adottate per prevenire l’eccessivo stress termico. Ciò si può fare attraverso piani interistituzionali di comunicazione-informazione-educazione, incentivando la ricerca e la progettazione per trovare e sperimentare sempre più forme di resistenza climatica. Il fine ultimo di queste azioni è quello di rendere le amministrazioni pubbliche in grado di offrire soluzioni immediate, economiche e durature. Rivedere i piani urbanistici alla luce dell’emergenza climatica, incentivare e promuovere i relativi cambiamenti architettonici, vigilare attentamente che le nuove costruzioni seguano le norme NZEB (l’edificio a energia quasi zero, ossia un “edificio ad altissima prestazione energetica in cui il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo è coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta in situ”). Sono questi i temi irrinunciabili sui quali le nuove amministrazioni, e quella di Napoli in particolare, dovranno misurarsi. Un’attività amministrativa dall’ampio valore e significato politico.