Una partita di calcio, ogni competizione sportiva, da quando gli esseri umani vivono in società, è una sorta di guerra simulata. Quando poi a scontrarsi sul campo non sono singoli atleti ma squadre, la simulazione si arricchisce di significati, diventa una sfida tra identità, culture, colori, comunità.
Anche le Olimpiadi erano questo, competizioni tra i migliori atleti della Greci antica e solo con la loro rinascita, voluta e organizzata al barone Pierre de Coubertin che nel 1896 diede vita alle prime Olimpiadi moderne, si è cercato di proporre la competizione non più come guerra simulata ma come confronto leale tra i migliori atleti nelle diverse discipline. Una storia però non lineare. Sono tanti gli episodi, veri e propri eventi ormai iscritti nei libri di storia, in cui Olimpiadi, campionati nazionali, campionati internazionali sono stati svolti e vissuti come luogo per riproporre sui campi da gioco rivalità e scontri politici, culturali e territoriali. Dallo schiaffo alla Germania nazista di Hitler con Jesse Owens, atleta di colore americano vincitore dei 100 metri, al pugno alzato con il guanto nero simbolo della rivolta afroamericana per i diritti civili di Tommie Smith e John Carlos sul podio per il primo e terzo posto nella finale dei 200 metri piani alle Olimpiadi del 1968, ma tanti altri sono i possibili nessi tra politica e sport, dai boicottaggi di alcuni stati contro altri, alle sfide sul campo che hanno travalicato il senso puramente sportivo.
Nel gioco del calcio poi, tanto amato e seguito dagli italiani, tanti sono gli episodi in cui la vittoria della propria squadra di club o nazionale ha assunto un valore simbolico, di riscatto, per tanti lavoratori costretti a condizioni di lavoro durissime e oggetto di crudeli discriminazioni.
Nessuno scandalo quindi se lo scontro tra tifoserie, sempre e solo quando non ci sono violenze, si arricchisce di significati che vanno ben oltre il valore sportivo. Succede dal medioevo nella civilissima Siena nelle competizioni tra Contrade, e in tante altre manifestazioni in cui forte è il senso delle comunità pronte allo scontro virtuale ma in contesto di valori condivisi. Ecco è forse questo che ormai manca in Italia: un contesto di valori condivisi.
Nella partita Udinese-Napoli abbiamo assistito all’ennesimo episodio di cori razzisti contro i napoletani, che però il giudice sportivo, che ha sanzionato il club dell’Udinese, ha preferito definire di “matrice territoriale”, un tentativo almeno nella sanzione di riportare l’episodio, seppur deprecato, a un livello più accettabile.
Ma qual è il livello accettabile quando si inneggia alla morte degli avversari, alla loro distruzione e si manifesta il proprio disprezzo? L’episodio è deprecabile perché lo “scontro” è stato tra italiani, tra gruppi appartenenti allo stesso stato, dire nazione sarebbe già troppo, o perché si è usata una gara, una palla che rotola tra i piedi, le gambe e le teste di 22 giocatori per esprimere odio, rabbia, insicurezza e il proprio marcato senso di inferiorità?
Quando si ha a che fare con i cretini bisogna stare attenti anche a criticarli perché si sa che è molto probabile che scambino fischi per fiaschi. Non è nostra intenzione dare all’episodio un “(dis)valore aggiunto” ma certo che il reiterato, quasi ordinario, ripetersi di tali comportamenti è il segno di un imbarbarimento diffuso, senza per questo voler denigrare i barbari, il segno dell’affermarsi di una sempre più ristretta visione del mondo che ci circonda. Cos’è se non questo il riproporre fino alla più piccola unità costitutiva di un gruppo sociale il “prima noi”, del continente, dello stato, della regione, della provincia, della città, del quartiere, del condominio, del piano ecc. ecc. Una visione talmente ristretta che non esclude migliaia di altre possibili restrizioni, come tra i sessi, il colore della pelle, dei capelli, della lunghezza del naso, della misura dei piedi. È il trionfo della stupidità e dei cretini e solo dei loro pari risponderebbero usando il loro stesso linguaggio.
Cosa augurarci allora? Semplicemente che la palla ritorni in campo a roteare tra le gambe dei calciatori e che si ricominci a divertirsi per imparare il piacere della condivisione e della partecipazione, non più un contro qualcuno ma un per qualcosa e con quanti più è possibile.
Non criticare e non abbassarsi al livello dei cretini è una delle più alte intelligenza dell’essere umano. Bravo Giuseppe Capuano, uno scritto come sempre chiaro ed elegante nell’esposizione.