Su “Robinson”, supplemento letterario di “la Repubblica”, dello scorso 21 agosto è stata pubblicata la classifica generale dei libri più venduti. Vi si trovano, tra i primi dieci, gli autori più in voga con due o addirittura tre titoli ciascuno, a riprova che anche la letteratura non sfugge ai capricci della moda. Nel caso specifico si tratta peraltro di due autrici ed anche questa prevalenza, indubbiamente positiva, si rinnova ciclicamente: qualche anno fa con la Ferrante ed in precedenza con la Rowling e il suo longevo Harry Potter. Per inciso, sembra evidente che le donne scrivono e leggono più degli uomini malgrado il maggiore impegno casalingo: sarà perché meno appassionate di calcio. Sta di fatto che nella classifica generale, tra i primi dieci titoli, ben sette sono appannaggio delle donne, che sono presenti in maniera paritaria, cinque su dieci, anche nella classifica ristretta ai più venduti titoli italiani.
Fin qui, dunque, nulla di nuovo perché sia la presenza femminile che il legame tra le vendite e le fiammate della moda sono una realtà consolidata: sono lontani i tempi in cui le mode duravano un bel po’ e quindi “Siddharta”, “Il gabbiano Jonathan Livingston” e “Il Piccolo Principe” piantonavano per anni le classifiche.
Le sorprese arrivano dai primi dieci titoli della classifica specificamente dedicata alla “Saggistica”. Si registra la presenza di Vittorio Sgarbi, che gode sempre di un ampio favore, equamente diviso tra i seguaci della sua figura pubblica e i cultori delle arti figurative, anche se è difficile immaginare un sincero amante dell’arte che possa condividere i suoi atteggiamenti narcisistici e anarcoidi, talvolta fino alla volgarità. Nella saggistica compare anche un insolito sodalizio: Alessandro Sallusti e Luca Palamara si sono incontrati per denunciare insieme il sistema di potere che ha gettato discredito sulla magistratura, con grande soddisfazione del direttore di “Libero”, raggiante per aver finalmente agganciato una quinta colonna con la quale dimostrare che aveva ragione, che la giustizia non è sempre giusta, come nel caso della condanna dell’amato Berlusconi.
La vera sorpresa è che nella “Hit Parade” specificamente dedicata alla “Saggistica” il primo e il terzo posto sono occupati rispettivamente da “Io sono Giorgia” della Meloni e da “Controcorrente” di Renzi. In proposito occorrerebbe innanzitutto suggerire alla redazione di “la Repubblica” che, nel sentire comune, la saggistica non dovrebbe ospitare gli scritti di politici in attività di servizio, che andrebbero invece relegati nella sezione “Propaganda politica”. L’unica consolazione è che nessuno dei due pamphlet figura tra i primi dieci titoli della classifica generale dei libri in lingua italiana più venduti. E tuttavia entrambi stanno riscuotendo un certo successo. Quello dell’autobiografia della Meloni sorprende meno: stiamo parlando, bene o male, della leader di un partito in costante crescita di consensi e comunque, ancora una volta, del lavoro di una donna, perfettamente in linea con la tendenza, sopra evidenziata, che vede le donne dominare negli scaffali delle librerie. Invece, per quanto ci si sforzi, non si capisce chi stia acquistando il “saggio” di Renzi. Evidentemente, malgrado il flop di Italia Viva, qualcuno lo considera ancora un protagonista, magari potenziale, sulla scena politica nazionale. È anche possibile, ma non verificabile, che parte delle vendite implichi un finanziamento indiretto, peraltro del tutto lecito, al partito, cosa che potrebbe riguardare anche la Meloni.
Resta insoddisfatta una curiosità: dove avranno trovato il tempo per scrivere le loro vicende e i loro propositi? Immaginarli di notte (e quando se no?) chini sul pc supera ogni più spericolato esercizio di fantasia. Più probabile che le abbiano dettate ai loro pazienti ghostwriter via smartphone durante le loro frequentissime “tradotte”.
Qualche anno prima anche Salvini, sull’onda del travolgente successo politico, aveva tentato di dare una verniciata autobiografica alla sua immagine pubblica. Gli sarebbe piaciuto, possiamo esserne certi, dare al suo lavoro un titolo monumentale, ma dovette ripiegare su un più modesto e anagrafico, quasi una presentazione fisica con stretta di mano, “Io sono Matteo Salvini”. Avrebbe senz’altro preferito evitare il cognome per rendere il titolo più icastico, ma rischiava di confondersi con ben altro Matteo: sarebbe stato necessario corredare il titolo: “Io sono Matteo” col sottotitolo: “quello buono”. Sorprende in effetti che, data la sua assidua frequentazione di tematiche cattoliche fondamentaliste, non abbia deciso di intitolarlo “Il vangelo secondo Matteo Salvini”. Non avrebbe fatto male, perché il libro non è andato molto bene forse perché le pagine, vergate probabilmente da uno “sherpa” sotto dettatura, sono piene zeppe di quelle sterminate elencazioni che caratterizzano l’eloquio salviniano, tipo: “Gli immigrati sbarchino pure a Malta, a Patrasso, a Tunisi, a Marsiglia o a Rotterdam”; oppure: “La Lega è presente in tutto lo stivale, da Mantova a Palermo, da Venezia a Messina, da Torino a Reggio Calabria, a Foggia, a Napoli, a Torre Annunziata, a Boscotrecase, centro e periferia”. Il volume conta 168 pagine ma forse ne bastavano la metà.
Ultimo nella schiera dei leader smaniosi di farsi “leggere” è arrivato Renzi, ma il titolo che solleticava il suo ego debordante era ormai impraticabile: avrebbe mai potuto intitolarlo “Io invece sono Matteo Renzi”? E neppure “Io sono l’unico, vero Matteo” col sottotitolo: “Diffidate delle imitazioni”. Ha quindi optato per “Controcorrente”, che ha vinto il ballottaggio col non meno rappresentativo “Conto corrente”, legato alla sua notoria e ben retribuita attività di conferenziere.
Sarebbe comunque confortante se questi novelli scalatori di classifiche letterarie si accorgessero di essere degli intellettuali ed abbandonassero la politica attiva senza indugi. Auguriamoci che la cosa avvenga in tempi meno lunghi di quelli che impiegarono D’Alema e Veltroni per raggiungere la stessa consapevolezza, certamente gratificante per loro ma anche per noi elettori delusi.