Molto affascinante l’idea delle incessanti forze selettive che hanno guidato la sopravvivenza del genere umano. Forze che hanno portato alla nascita e allo sviluppo di comportamenti, credenze e culture, oltre a mutamenti morfofunzionali che hanno inciso profondamente sul futuro benessere dell’umanità. Una delle più significative e piena di conseguenze è stata la figura dell’“agente intenzionale”.
Quando nel pleistocene i primi sapiens percorrevano le ampie distese della savana africana a caccia con le prime armi rudimentali fatte di schegge litiche e dovevano guardarsi dall’assalto di animali e dal pericolo di gruppi rivali, aumentavano le possibilità di sopravvivenza se escludevano la casualità in ogni fenomeno naturale osservato in cui si dibattevano: una depressione sul terreno era più sicuro interpretarla come un’orma lasciata da un rivale e non piuttosto l’impronta lasciata da un sasso portato via dalla pioggia; un ramo spezzato era più vantaggioso considerarlo il segno del passaggio di un animale e non la causa di un’improvvisa folata di vento. Un impulso spontaneo, quello nel credere che in ogni fenomeno naturale si celasse una volontà animata (non a caso l’impronta animista caratterizzò le prime espressioni dell’agente intenzionale), che ha pagato con un incremento dello stato di allerta e una maggiore possibilità di sfuggire a un pericolo o procurarsi del cibo.
I neurobiologi che hanno studiato il sistema emozionale del cervello hanno dimostrato che questo reagisce al pericolo spesso e prima che il soggetto ne sia cosciente. Si ha paura, si scappa o si reagisce prima di capire che si è davanti a una tigre o a un serpente o a un qualsiasi altro pericolo. Quante volte, anche noi moderni, siamo spinti a vedere una figura o un qualsiasi oggetto nella forma di una nuvola e interpretarlo come un segno premonitore, messaggio nascosto o una rivelazione. Da qui alla presenza di una divinità il passo è breve. Recenti studi di risonanza magnetica funzionale (Kapogiannis, 2009) hanno dimostrato che ascoltare una frase come “io credo che Dio vegli su di me tutto il giorno” attiva le medesime aree, nelle regioni frontali, parietali e temporali del cervello, che sono attive quando cerchiamo di decifrare le intenzioni di altre persone. Regioni cerebrali che regolano quanto fortemente il soggetto richiede il legame di causa-effetto per far emergere una credenza. Ricordo ancora l’apparizione della Madonna nella chiesa di Palinuro circa una ventina di anni fa. Tanti accorsero per assistere all’apparizione, opportunamente smentita dalle autorità ecclesiastiche della diocesi, ma per più di una settimana la Chiesa rimase insolitamente piena di fedeli salmodianti e curiosi, tra cui il sottoscritto, per essere testimoni di una apparizione che, per essere accolta, non ha avuto bisogno di alcun vaglio razionale. È bastata la fede nella certezza che un’ombra che si intravedeva tra due colonne al di sotto di una finestrella fosse la madre di Gesù apparsa a redarguire il mondo a pregare di più.
È questa l’essenza dell’agente intenzionale che, come un angelo custode, ha seguito tutta la nostra evoluzione preservandoci dai rischi della sopravvivenza con un vantaggio riproduttivo determinante. Un bisogno irrefrenabile di credere, il cui prezzo o sottoprodotto o, per usare un termine farmacologico, effetto collaterale è stata la nascita delle religioni, al cui sviluppo ha contribuito in maniera decisiva una loro intrinseca qualità. Quando, dopo la nascita dell’agricoltura circa 10.000 anni fa, cominciarono a sorgere i primi raggruppamenti umani che si organizzarono in insediamenti numericamente più consistenti, facilitati da una maggiore disponibilità di risorse alimentari, si rese necessario il controllo nella distribuzione del possesso attraverso un sistema di potere coercitivo, grazie alla creazione di rigide scale gerarchiche. All’apice della piramide si trovava, oltre al sovrano, la casta sacerdotale, rappresentata dai primi sciamani, considerati gli intermediari tra gli dei e gli uomini, coloro che stabilivano e officiavano i riti propiziatori e di ringraziamento per un buon raccolto o per una guerra, ma anche coloro che, in nome di un potere trascendentale, che spesso si attribuiva al sovrano, controllavano e dirigevano i bisogni dei sudditi. Questo controllo veniva dunque esercitato con la minaccia di punizioni terrene ed ultraterrene su un popolo atterrito e obbediente. Non mancavano i sacrifici umani e animali, che persistono ancora in alcune popolazioni rimaste isolate dalla civiltà. Ma l’evoluzione culturale, contribuendo in maniera determinante alla civilizzazione e quindi all’affermarsi di quei valori etici che hanno fatto crescere qualitativamente il genere umano, col tempo è riuscita a controllare questo strapotere, senza tuttavia sminuirlo, anche perché una inaspettata conseguenza, positiva sotto l’aspetto di una pacifica convivenza tra i popoli, è stata il rinforzo di una maggiore cooperazione, visto in termini di maggiore fiducia, altruismo e disponibilità di aiuto.
I primi gruppi religiosi infatti, motivati da principi etici condivisi, avevano maggiori possibilità di affermarsi rispetto ai gruppi che basavano la propria sopravvivenza sulla legge del più forte, sulle gerarchie sfruttatrici e sull’egoismo in genere. Fu dunque questa propensione delle religioni alla collaborazione e all’altruismo a rinforzare e sviluppare nei suoi seguaci quei valori di convivenza che hanno permesso il diffondersi planetario delle tre religioni monoteiste e quello più limitato delle credenze politeiste. È necessario qui ricordare anche l’incidenza del contesto ecologico nell’affermazione delle religioni mono o politeistico e delle loro pratiche culturali. Le società dei deserti (secondo l’antropologo Mervin Ember) con i loro ampi e aridi spazi e con i loro membri a badare a capre e cammelli sono state gli incubatoi delle classi guerriere, con una cosmologia in cui un dio onnipotente domina una schiera di divinità minori, che trova un parallelo naturale in una rigida gerarchia terrena. Diversamente dalle società politeiste delle foreste pluviali che definiscono un equilibrio sia in senso ecologico che culturale, vivendo in una natura abbondante di risorse che crea poche premesse di conflitti.
Naturalmente questa è la versione laica dell’origine delle religioni, supportata da prove e verosimili inferenze, studiando soprattutto le popolazioni tradizionali che purtroppo hanno conosciuto solo gli aspetti negativi della civiltà. Un conflitto tra scienza e religione però esiste solo nella mente delle persone e nelle convenzioni sociali. In realtà sono due magisteri non sovrapponibili (non overlapping magisteria, come diceva il naturalista Gould), trattando ognuno in modo diverso del significato di uno stesso campo. Non possono quindi né essere unificanti, né entrare in conflitto. Infatti mentre la scienza indaga, documenta e interpreta ogni fenomeno naturale, la religione subentra nella sfera dei significati, dei propositi e dei valori umani.