“Le arti sono le foreste pluviali della società. Producono l’ossigeno della libertà, e sono il primo sistema d’allarme a scattare quando la libertà è in pericolo.” (Jason Smith)
“Le Catalogue Goering”, edito a Parigi da Flammarion, focalizza il problema dei rapporti fra uno dei più importanti gerarchi nazisti e l’arte, catalogando lo sterminato numero di opere fatte acquisire con la forza da Hermann Goering (1893-1946, numero due del regime nazista) per destinarle alle sue residenze principesche e, purtroppo, andate disperse. Non importa se provenissero da collezioni private (spesso di ricche famiglie ebree) o appartenessero ai musei dell’Europa occupata, il bulimico e tracotante gerarca accumulò oltre centomila opere (tra tele, disegni, statue, arazzi, e oggetti antichi) in pochi anni.
Nell’Italia fascista di Mussolini trovò un canale privilegiato in quanto il Duce era ben lieto di privarsi di qualche “vecchia telaccia” pur di ingraziarsi gli alleati. Questo è il caso della (s)vendita di diversi capolavori, tra i quali “Santa Cecilia in estasi” del pittore napoletano del seicento Bernardo Cavallino. Dipinta per la chiesa di Sant’Antoniello delle monache nel 1645, la pala (che é una perfetta sintesi della lezione caravaggesca mista alla teatralità barocca) fu ceduta per un prezzo irrisorio a Goering attraverso il prestanome Paul Wenner (mercante d’arte aderente al partito nazista tedesco) sotto le pressioni dirette di Mussolini all’allora ministro della cultura Bottai.
L’interesse per le opere di Bernardo Cavallino da parte del plenipotenziario del Reich nasce nel lontano 1931 quando, ospite a Napoli del Principe di Piemonte, si appassionò alla pittura del “Seicento napoletano” e soprattutto alle rare opere del pittore partenopeo dalla “triste fama”. All’epoca dei fatti l’unica monografia sull’ artista era quella settecentesca contenuta nelle famose “Vite” di Bernardo De Dominici, opera romanzata e poco attendibile storicamente. Secondo il testo citato, Bernardo Cavallino nacque a Napoli nel 1630 nel quartiere dei Banchi nuovi, in una famiglia di umili condizioni. Dal carattere gentile e riservato, ben presto mostrò il suo talento artistico e fu preso a bottega dal pittore Massimo Stanzione. All’età di 15 anni suo padre morì e Bernardo fu costretto a lasciare l’apprendistato e, per mantenere la famiglia, iniziò a vendere per pochi spiccioli le sue opere a rigattieri e macchiettisti (finti pittori che acquistano opere di altri e apponevano la loro firma). Povero e malnutrito si guadagno nel quartiere la triste fama di “Sfurtunatiello”. All’età di 20 anni, però, incontrò il mercante d’arte Giuseppe De Felice che, ammirato dai suoi lavori e rammaricato per le sue condizioni, gli propose di lavorare in esclusiva per lui offrendogli un “degno compenso di 5 carlini giornalieri più la tavola franca” per l’intera famiglia. Bernardo poté così tornare a studiare la pittura senza l’assillo del guadagno. Lo fece col pittore Andrea Vaccaro che dopo poco tempo gli permise di lavorare al suo fianco non più come discepolo ma come socio.
A questo periodo, intorno al 1645, appartiene il famoso quadro di “Santa Cecilia in estasi” (oggetto delle brame di Goering). Quando sembrava che finalmente la dea Fortuna gli arridesse, Bernardo si ammalò gravemente e fu curato inutilmente per una “malattia di petto”. In realtà il pittore aveva contratto una malattia venerea da una servente di casa che lo sedusse, facendogli perdere la verginità in età più che matura. Bernardo, per la vergogna che la sua “anziana e pia madre” potesse scoprirlo, si lasciò morire all’età di 31 anni. Ora, visto che i pochi risparmi se ne erano andati per cerusici e pozioni, non erano rimasti nemmeno i soldi per seppellirlo. Il cadavere restò diversi giorni in casa fino a quando i “frati bianchi della purità” non si occuparono della salma inumandola in una fossa comune.
Qui finisce il racconto di De Dominici e inizia la storia travagliata del quadro di Santa Cecilia. Finita la seconda guerra mondiale e celebrato il processo di Norimberga, dal 1947 le opere trafugate dai nazisti iniziarono a tornare a casa. Quelle acquisite, però, prima del 1943 (con la pratica descritta) non vennero restituite perché risultavano disperse. Grazie al lavoro dell’agente segreto e storico dell’arte Rodolfo Siviero, che continuò a impegnarsi ben oltre la fine della guerra nella sua meritoria azione di rintracciamento e recupero dei quadri sottratti dai nazisti, la “Santa Cecilia in estasi” di Bernardo Cavallino, rientrerà in Italia, al Museo di Capodimonte, solo nel 1984. In conclusione, nemmeno l’arte, tra i tanti atroci crimini perpetrati dai regimi nazi-fascisti, restò immune dalla loro follia.