Finalmente qualche voce autorevole inizia a levarsi contro l’avvilimento nazionale che accompagna da tempo la persistente denatalità. Si fanno pochi figli in Italia ma anche in Germania e in buona parte dell’Europa e il fenomeno comincia ad allarmare anche la Cina, che si accinge a liberalizzare la messa al mondo del terzo figlio capovolgendo la limitazione ad uno solo imposta una trentina di anni fa.
Interessante sul tema, il commento di Michele Serra (“Il Venerdì” del 28 maggio scorso), che concorda pienamente con la lettera di un medico il quale non vede nella denatalità un problema capitale, ma lo vede piuttosto nel crescente sovraffollamento della Terra. Appaiono dunque, ad entrambi, discutibili le misure volte ad incoraggiare le nascite, mentre l’espansione demografica rappresenta oggi la minaccia più seria alla salvaguardia del pianeta.
La preoccupazione di un Paese sviluppato come il nostro per l’invecchiamento della popolazione autoctona, con tutte le conseguenze che può comportare sia nel ricambio generazionale che nella capacità economica di assicurare agli anziani pensioni e assistenza sanitaria, per quanto legittima in astratto, si scontra con l’esigenza di limitare l’espansione demografica globale. Infatti, ammesso e non concesso che fosse mai possibile scoraggiare le nascite nei paesi in via di sviluppo, notoriamente i più prolifici, come potrebbe l’Occidente evoluto conciliare queste misure restrittive con l’incentivazione delle nascite sul suo territorio? Sarebbe una iniqua disparità di trattamento che farebbe il paio col vietare l’uso di combustibili fossili ai paesi che vogliono uscire dal sottosviluppo, dopo che per qualche secolo l’Occidente ne ha abusato con le conseguenze nefaste che sappiamo. Quella della limitazione delle nascite nel terzo mondo sarebbe una nuova forma di colonialismo inaccettabile che comunque, anche se dovesse incredibilmente dare qualche risultato, mai e poi mai riuscirebbe ad arginare i flussi migratori con la loro coda di lutti, di dolore e di sfruttamento, sia alla partenza che all’arrivo. Il tutto su un pianeta sempre più inospitale. Nulla lascia sperare che lo scenario migratorio possa cambiare. Per farlo ci vorrebbe un Piano Marshall universale che favorisse la creazione di posti di lavoro e di condizioni decenti di vita per qualche centinaio di milioni di esseri umani. Nessuno può ragionevolmente immaginare che ciò possa avvenire, ma un passo in questa direzione andrebbe tentato piuttosto che provare a riattivare la natività nel nostro Paese con misure onerose (bonus bebè, assegno unico per i figli, ecc.) e probabilmente inutili, perché non è dimostrato che la denatalità dipenda dalle difficoltà economiche, pur esistenti, delle giovani coppie, mentre è certo che la causa principale, non rimuovibile nel breve periodo, è la mancanza di fiducia nel futuro.
Meglio sarebbe, quindi, destinare più risorse all’accoglienza e all’integrazione delle famiglie di immigrati. Nel giro di qualche generazione, come peraltro già avvenuto, ci sarebbero cittadini italiani con la pelle scura ma con una istruzione ed una formazione civica non diverse da quelle della popolazione autoctona. Questa scelta politica risolverebbe in parte il problema della denatalità ma non certamente quello dell’immigrazione. L’una e l’altra finalità non sembrano allo stato realizzabili: troppi sono gli ostacoli politici che si frappongono all’avvio di una vera e propria inversione di tendenza, in Italia ed in buona parte dell’Europa. Qui da noi occorrerebbe innanzitutto combattere la xenofobia dilagante, obiettivo che sembra, allo stato, poco realistico da realizzare.