Il 2 giugno, festa della Repubblica, come ogni anno, tra persone di una certa età, ci scambiamo gli auguri. Già perché questa Repubblica la sentiamo nostra. Quest’anno però un messaggio, ricevuto da un giovane amico via WhatsApp, ha turbato l’atmosfera in una splendida e festosa giornata di primavera: “Auguri per la festa della tua Repubblica, che non riesco a sentire mia. Presto andrò all’estero con un biglietto di sola andata e non credo che ritornerò”.
Cos’è successo? Perché tra i più giovani, tra vecchi e antichi amici, molti dei quali sono stati protagonisti e convinti sostenitori di tante battaglie politiche e civili, si respira un’atmosfera di sconfitta, di rinuncia conclamata e praticata, anche al più minimo impegno politico, sindacale, civile?
Nel nostro comune discorrere abbiamo l’abitudine di ragionare per categorie, con la convinzione che “giovani”, “operai”, “dipendenti pubblici”, “liberi professionisti”, “giornalisti” e, ovviamente, “i politici”, siano categorie facilmente identificabili, insiemi indistinti di uomini e donne unificati da modelli di vita, dalla concezione e dal modo di lavorare o di cercare lavoro, dal rapporto con lo studio e la cultura in generale, dai loro consumi, in poche parole da una visione comune delle cose.
Le cose nel bel Paese sono più articolate, ogni città, piccolo o grande centro abitato, ha proprie storie, tradizioni, abitudini di vita. Un modo di essere molto italiano tanto che nei centri più grandi la differenziazione si ripropone e si articola nel tessuto urbano, con differenze anche grandi tra un quartiere ed un altro, tra due strade limitrofe. Differenze che in modo parossistico si trasformano in barriere, in incapacità di accogliere, di aprirsi al nuovo, a chi è diverso solo perché nato un poco più lontano. Scrittori, attori, uomini di spettacolo, lavorando su questa peculiarità, hanno costruito la loro fortuna, da Totò e Peppino in viaggio a Milano che si meravigliano che il vigile urbano parli in italiano, alla versione italiana di Giù al Nord, film francese perfettamente ricostruito nella versione italiana ovviamente titolato Benvenuti (Giù) al Sud. Tante carriere, la fortuna di tante formazioni politiche sono legate a questo campanilismo esasperato, fino a giungere alla ridicola articolazione territoriale dello slogan “prima gli italiani”, diventato poi prima i lombardi, i veneti, i siciliani, i milanesi, i palermitani, i bresciani, i napoletani ecc. ecc.
È però indubbio che la partecipazione alla vita sociale, culturale e politica nel nostro Paese ha raggiunto i minimi storici ed è un fenomeno diffuso su tutto il territorio, e la comunicazione a buon mercato consentita dai nuovi mezzi di comunicazione non può certo assorbire e sostituire tutte le forme attive di partecipazione. D’altra parte, chi oggi si impegna in azioni di concreta solidarietà, laico o credente, e sono tanti, è quasi sempre costretto a compiere scelte radicali, quasi missionarie, totalizzanti, risucchiato dalle esigenze degli altri, sortendo così un effetto opposto a quello sperato: viene isolato ed egli stesso finisce per sentirsi appartenere ad un altro mondo.
Il nostro sistema fortemente gerarchizzato, chiuso, dove alti sono i muri e le barriere all’ingresso erette quasi su ogni aspetto della vita sociale, accomuna il Sud, il Centro e il Nord. Per avere un lavoro decente, un minimo di aspettative di miglioramento della propria condizione lavorativa bisogna passare sotto tante forche caudine che, spacciate per regole condivise e ineludibili, non sono altro che richieste di sottomissione al volere dei più potenti, e questo riguarda i giovani come tanti anziani lavoratori. Continuando a ignorare l’impegno profuso negli studi o per acquisire conoscenze e capacità lavorative, si alimenta la frustrazione e la disillusione, un connubio che certo non sprona alla partecipazione.
Ma come rispondere al nostro giovane amico di WhatsApp?
Forse consigliandogli qualche buona lettura sulla storia economica, sociale e politica di questa Italia repubblicana e delle storie delle monarchie che si sono suddivise il territorio della Penisola; Invitandolo a percorre la strada a ritroso che ha portato a due guerre mondiali che hanno insanguinato l’Italia e l’Europa, al ventennio fascista di Mussolini e dei fascismi che hanno martoriato per molti più decenni Spagna e Portogallo.
Gli si potrebbe proporre di ascoltare i racconti del componete più anziano della sua famiglia che magari è anche capace di riproporgli i racconti dei suoi genitori. Un modo semplice per appropriarsi di cento anni di storia.
Non potremmo però omettere che in Italia, proprio sulla storia della Repubblica, vige una grande ipocrisia perpetuata oggi anche da chi si richiama a valori progressisti. Già, perché in molti hanno trasformato l’articolo 1 della Costituzione nel nome di un partito o in uno slogan da riproporre, alla bisogna, nei momenti di difficoltà. “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” è il più propriamente repubblicano degli articoli della Costituzione, un riscatto della borghesia che aveva abdicato al suo ruolo dopo tanti tentativi falliti in senso storico e politico. Da 75 anni in Italia, nel sistema giuridico e formale, sono banditi i titoli nobiliari e la trasmissione di “privilegi di casato”, la Legge è diventata “uguale per tutti”. Ogni cittadino ha diritto al riconoscimento delle proprie capacità. È a partire da questo principio, insieme a quello della solidarietà, pensato e proposto per attutire i rischi di emarginazione in una società fondata solo sul merito, che si valutano le politiche economiche e sociali: dare opportunità a chi ha dei meriti senza discriminare, riconoscere anche a chi ha minori capacità, o semplicemente è più sfortunato, la possibilità di una vita dignitosa per sé e per la propria famiglia. Questi elementi hanno rivoluzionato il nostro Paese che, scegliendo la Repubblica, ha voltato le spalle alla monarchia e al fascismo. Sono processi e conquiste tanto forti che nessuna mediazione è possibile. Accettarli significa sentirsi parte di un consesso istituzionale e non di un partito politico. Per questo festeggiamo il 2 giugno e per tanti altri motivi, tra cui quello di non mortificare e barattare la conquistata libertà con fumose ipotesi di uguaglianza, o supposti interessi di parte da tutelare senza vagliarne le conseguenze e il rispetto dei tre fondamenti che abbiamo evidenziato: merito, solidarietà e libertà.
Tra i tanti problemi che continuano a resistere in Italia, come quello della diseguaglianza (anche se in forme diverse) e della camaleontica e atavica criminalità, tanti altri si sono aggiunti che assimilano il nostro Paese al resto del mondo occidentale: l’opulenza e il benessere raggiunti hanno provocato uno squilibrio nella produzione e distribuzione di ricchezza, il che pone problemi di giustizia sociale sovrapposti a quelli ecologici. Diventa così urgente intervenire tenendo conto proprio di quegli elementi che abbiamo evidenziato: non c’è nessun merito nello sfruttamento indelebile delle risorse, non c’è solidarietà negli aiuti indiscriminati e interessati a consolidare rapporti di subordinazione che ostacolano autonomia, impegno e responsabilità nella richiesta e realizzazione del benessere, non c’è libertà senza accordo tra le parti.
Grazie anche alla Repubblica, chi parte dall’Italia non è un esule, non è un profugo in cerca d’asilo, ma sta scegliendo di vivere la meravigliosa esperienza del viaggiatore.
Viva la Repubblica
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Condivido l’impostazione dell’articolo, anche se i privilegi della casta si perpetuanok in tanti settori dove il corporativismo è forte. Sono in tanti a comprare un biglietto di sola andata.
L’ Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, merito, solidarietà, e libertà.
Non c’è dubbio che il tuo, caro Peppe, è un articolo giustificativo della scelta repubblicana e democratica dei nostri nonni, genitori. Ma permettimi di dire che la tanto agognata libertà che tutti sognavano non è stata raggiunta, non c’è libertà senza giustizia sociale e penale, non c’è giustizia sociale senza pari opportunità, non ci sono pari opportunità se sei giudicato da chi è meno competente di te.
Questa nostra cara Italia è andata, continua ad andare avanti per clientelismo, una volta la classe politica e dirigente si accontentava di una manciata di voti, del consenso, perché era quello che dava loro l’opportunità di gestire i propri affari.
Ora sono diventati ladri di gallina, una gallina dalle uova d’oro, tutto o quasi resta impunito di fronte ad una impassibile indifferenza.
Tornando al tuo giovane amico gli auguro di trovare la sua strada, che possa essere felice non come viaggiatore, ma come stanziale in un paese che apprezzi ciò che sa e che sa fare.