Era la fine del 2015 quando Barack Obama annunciava il disgelo nelle relazioni tra Cuba e Stati Uniti ed iniziava il processo di distensione, che durò fino alla fine del suo secondo mandato. Purtroppo, è noto a tutti come e quanto sia cambiata la situazione politica con Donald Trump, che ha ripreso ancora più duramente la politica di chiusura verso Cuba, insieme al rafforzamento dell’embargo in vigore a Cuba da oltre sessant’anni. Poco prima di terminare il suo secondo mandato, Trump inserì il Paese caraibico nella lista dei paesi sponsor del terrorismo, insieme ad Iran, Corea del Nord, Siria e Venezuela.
Il neo presidente Joe Biden, durante la sua campagna elettorale, aveva aggiunto Cuba alla lista dei “buoni propositi”, in particolare riguardo l’embargo, misura fortemente criticata poiché mantenuta perfino durante un periodo grave e difficile come quello che stiamo vivendo con la pandemia di Covid-19. Eppure, al contrario, sembra proprio che Biden abbia fatto marcia indietro, e con lui anche la possibilità di considerare l’apertura verso l’Isola in un futuro prossimo. Al contrario, il nuovo Presidente statunitense ha mantenuto le 243 misure adottate da Donald Trump per indurire l’embargo, di cui circa 50 sono state introdotte proprio durante la pandemia.
Sembra che al momento, dunque, Cuba non rientri tra le priorità della politica estera della Casa Bianca. Domenica scorsa, a L’Avana, una regata con quasi un centinaio di imbarcazioni ha solcato il mare della Baia di Cienfuegos, per protestare contro il perdurare dell’embargo statunitense, accompagnata sulla terraferma da una marcia di motociclisti e giovani cubani. “In un momento in cui in tutto il mondo si chiede di costruire ponti di amore, il governo degli Stati Uniti mantiene intatte le misure di Trump che danneggiano il popolo cubano”, queste le parole del ministro degli esteri cubano Bruno Rodriguez. L’embargo sta creando ostacoli anche allo sviluppo e alla messa a punto del vaccino nell’isola di Cuba e le condizioni economiche della popolazione peggiorano sempre più, soprattutto riguardo l’approvvigionamento alimentare.
Gli Stati Uniti continuano a sottolineare l’esigenza di democrazia e rispetto dei diritti umani a Cuba, mentre dal proprio canto il Ministro Rodriguez ha dichiarato: “Se gli Stati Uniti fossero interessati davvero ai diritti umani del popolo cubano, eliminerebbero l’embargo e le misure applicate dal precedente governo, vigenti ancora oggi nel bel mezzo della pandemia di Covid-19, ristabilirebbero i servizi consolari e le riunioni familiari” (alludendo alle centinaia di cubani residenti negli USA ai quali è vietato viaggiare nell’Isola).
In realtà la misura peggiore che Biden potesse adottare in questo momento storico era proprio questa: la non azione. Stare fermo, non fare un passo avanti, significa in questo momento continuare a tenere la popolazione cubana sotto scacco, peggiorandone le condizioni economiche e sociali, mettendo dunque in difficoltà il governo cubano, soprattutto dopo che Raúl Castro ha deciso di cedere il passo alle nuove generazioni.
È chiaro che all’interno del Congresso e del Governo degli Stati Uniti c’è una spaccatura sul tema: alcuni senatori repubblicani anti-castristi, come Marco Rubio, sono fautori di una linea dura nei confronti di Cuba, mentre altri, dell’ala democratica, insieme a numerosi studiosi e think-tank di prestigio, chiedono maggiore collaborazione ed apertura verso il governo di Dìaz Canel, riprendendo quanto fatto dal presidente Obama. Il deputato statunitense Jim McGovern, da tempo a favore di una normalizzazione dei rapporti con Cuba, parlando proprio della mancanza di diplomazia sulla questione cubana, ha dichiarato: “É difficile ottenere cooperazione quando gli Stati Uniti non hanno fatto neanche un passo per un vero dialogo con Cuba”. Anche OXFAM ha invitato il Governo di Joe Biden a normalizzare le relazioni con Cuba ed alleviare le sanzioni, con un report intitolato “Il diritto a vivere senza embargo”. La crisi economica che Cuba sta vivendo sta creando gravi problemi nell’approvvigionamento alimentare, e questo rischia di dare vita ad una vera e propria emergenza umanitaria.
È evidente dunque un’esigenza di realismo: c’è bisogno di ripensare le relazioni tra i due Paesi nel tempo presente. Gli Stati Uniti dovrebbero rendersi conto che non si sta vivendo un’epoca di Guerra Fredda, che gli equilibri geopolitici sono cambiati e che la presunta politica di influenza e controllo su Cuba non ha funzionato. Prima ci si rende conto di questo, prima si può cercare di instaurare un rapporto fondato sul dialogo e su una reale possibilità di sviluppo dell’Isola. Nonostante gli appelli delle organizzazioni internazionali, della società civile e delle ong, la popolazione cubana continua a pagare a caro prezzo le conseguenze di un embargo che va contro non solo il diritto umanitario ma qualsiasi diritto alla dignità e allo sviluppo dell’essere umano. Perchè come diceva il filosofo e Premio Nobel per l’economia, Amartya Sen: “Lo sviluppo è libertà. Aumentare le capacità umane deve costituire una parte importante della promozione della libertà individuale.“