É stato un terremoto politico quello avvenuto nella giornata del 4 maggio scorso in Spagna. Mentre il Paese sembra avviarsi verso la normalità, con il prosieguo della campagna vaccinale e riaperture in quasi tutto il territorio nazionale, nella comunità autonoma di Madrid si sono tenute le elezioni amministrative.
La tempesta politica che sta avvenendo nel Paese iberico desta non poche preoccupazioni in tanti, a partire dal Presidente socialista Pedro Sánchez, che sembra addirittura temere un estallido social. Intanto, la regione madrilena ha votato per il suo prossimo Presidente regionale e per l’elezione dei 136 membri dell’Assemblea, che guideranno la Comunità Autonoma per i prossimi due anni. I sei candidati alla presidenza a Madrid erano: Ángel Gabilondo (PSOE, Partido socialista e operaio spagnolo), Mónica García (Más Madrid), Rocío Monasterio (Vox), Edmundo Bal (Ciudadanos) e i due rivali più agguerriti, che presupponevano una scelta manichea, da un lato, la candidata regionale uscente del Partito Popolare (PP) Isabel Díaz Ayuso, considerata astro nascente della destra spagnola e personaggio molto controverso, dall’altro lato, il vice-presidente del governo, del partito di coalizione di sinistra Unidas Podemos, Pablo Iglesias. Ma procediamo con ordine.
Il partito centrista Ciudadanos è stato il pomo della discordia: nonostante facesse parte del governo del Partito Popolare nella regione di Murcia, ha cercato un accordo con i socialisti per una mozione di sfiducia contro il PP, con cui “sfilare” l’amministrazione al partito di destra. La stessa cosa è stata chiesta anche per la regione di Madrid, in cui però poco prima, con grande velocità e scaltrezza, c’è stato l’annuncio di elezioni anticipate da parte della Presidente della Comunità di Madrid, Ayuso. Quest’ultima, definita addirittura una trumpiana spagnola, una specie di lady di ferro, ha ricevuto l’appoggio del partito di estrema destra e xenofobo Vox, che sembra sostenere l’ipotesi di un governo di coalizione, in caso di vittoria. Un tweet della Ayuso, pubblicato pochi giorni fa sui propri account social, recitava: “Socialismo o libertà”, con un chiaro riferimento al suo rivale politico Iglesias, che ha risposto con uno slogan altrettanto eloquente: “Democrazia o fascismo”. D’altro canto, il leader di Unidas Podemos ha lasciato il suo ruolo nel governo di Sánchez per presentarsi come uno dei candidati all’opposizione, nonostante nel territorio di Madrid la tradizione del Partito Popolare sia molto forte. La campagna elettorale è stata ricca di tensioni e all’insegna di minacce di morte. I candidati di entrambi gli schieramenti hanno infatti ricevuto buste con all’interno proiettili e, nel caso della ministra locale dell’Industria, addirittura un coltello con tracce di sangue. Tuttora non sono stati rintracciati gli autori del fatto.
É dunque evidente come i risultati di queste elezioni abbiano una valenza che va al di là del contesto regionale. Il Partito Popolare ha vinto ottenendo un consenso del 44%, mentre il PSOE ha visto scendere i propri seggi da 37 a 24. Questo potrebbe far vacillare l’attuale governo socialista di Pedro Sánchez. La Presidente Ayuso ha chiaramente conquistato la fetta di elettorato del partito centrista Ciudadanos, che rispetto al 2019 non è riuscito neppure a superare il quorum necessario del 5%, non ottenendo dunque nessun seggio nel Parlamento regionale. Il Partito di Pablo Iglesias, Unidas Podemos, ha ottenuto solo il 7% di voti, ed in seguito a ciò Pablo Iglesias, ex vicepresidente del governo Sanchez, ha dichiarato di lasciare la politica: “Lascio tutte le mie posizioni. Lascio la politica intesa come politica di partito, politica istituzionale. Non voglio essere un freno per il rinnovamento della leadership“. Va però sottolineato che il partito di estrema destra VOX, con il 9%, è la grande sorpresa di queste elezioni, insieme al PP. Da molti definito neofranchista, continua ad ottenere consensi e a far crescere il proprio elettorato.
Il futuro della democrazia spagnola sembra giocarsi qui e la preoccupazione per il clima di tensione e d’odio che si sta sviluppando nel Paese preoccupa molto il partito socialista. La segretaria del PSOE della Comunità di Andalusia, Susana Dìaz, ha dichiarato: “Non mi abituerò mai al fatto che alcuni facciano cabale e conti con i voti dell’estrema destra. Questo non accade nel resto d’Europa e qui sì, e con normalità e tranquillità si sta riciclando un partito che genera odio nella nostra società“.
La storia è ciclica, ma è anche vero che dalla storia non sempre riusciamo ad imparare, per non commettere più gli errori del passato. La Spagna è un Paese relativamente giovane dal punto di vista di storia democratica, se pensiamo che la fine del regime franchista e la cosiddetta transiciòn risalgono agli anni 1975-1979. Eppure l’ascesa di Vox desta sconforto, oltre che paura. Sconforto perché ci si chiede come sia possibile che in un momento così delicato, così difficile dal punto di vista economico e sociale, si possa pensare che il pugno di ferro, la chiusura, il timore verso l’altro, possano rappresentare i valori da cui ripartire. Sicuramente il partito socialista uscirà ammaccato da queste elezioni, in una Regione cruciale del Paese, ma ciò che va monitorato è il ritorno, prima in sordina ed ora alla luce del sole, di questo partito (Vox) che non può e non dovrebbe trovare spazio nel contesto democratico e nei valori a cui la stessa Spagna si ispira e su cui sta incentrando anche il suo ruolo crescente nell’Unione Europea. Perché, anche se non si ha memoria storica, anche se non si può cambiare ciò che è stato, si può almeno cercare di salvare il presente.