In questo recente ed emozionante lavoro, libera riscrittura di alcune pagine della biografia di Alda Merini, Vincenza Alfano ha lavorato di fino. Ci regala un ricamo che sa di antico per la raffinatezza con cui l’ago della sua penna e il filo del suo pensiero hanno dato vita a un intreccio di sentimenti e temi a lei già molto cari: la fuga, la solitudine, la diversità, la famiglia, la follia, il dolore, l’amore.
Nella difficile narrazione di un’anima peregrina come quella della poetessa dei Navigli, Vincenza Alfano sceglie di soffermarsi sugli anni del Pini, l’ospedale psichiatrico in cui la Merini viene internata per supposto disturbo bipolare dal 1964 al 1972 e successivi, sporadici internamenti fino al 1979. Il prima e il dopo della vita di Alda fanno da cornice al ricamo rigorosamente bianco su cui spicca solo il rosso della sbavatura di labbra voluttuose di amori infingardi.
Nel “prima”, a dominare è l’amore clandestino, totalizzante e travolgente per lo scrittore Giorgio Manganelli, che scopre la genialità poetica celata tra le pieghe dell’anima di Alda poco più che ragazzina. Un amore che ella stesa definirà “folle”. Nel “dopo” arriva l’amore sereno di Michele Pierri, che l’accompagnerà per un tratto lungo il sentiero non privo di inciampi del ritorno a sé “Dopo tanto buio, ecco Michele, ecco di nuovo la poesia.”
Nel mezzo, il tempo delle ombre della mente. Il ricordo ossessivo dell’amore “perduto”, un matrimonio difficile e tormentato, quattro figlie, “gioia molto sofferta”; il ritorno a lei di Celeste, la sua amica di vita e di poesia, di dolore e di follia, che irrompe nella sua tormentata esistenza lì al Pini, portando con sé un segreto indicibile e sconvolgente. Con lei condividerà quegli spazi della Terra Santa in cui l’assenza del colore è assenza di vita, di sentimenti, di avvertimenti e di sventura incombente. È il tempo del dolore che entra ed esce dalle loro vite a proprio piacimento, tra attimi di follia e di lucidità, allorquando la contenzione diventa violenza fisica e psicologica e nello stordimento totale appaiono i fantasmi, le ombre della mente. È il tempo della sofferenza “come quintessenza della logica”
In questo tempo “di mezzo”, la scrittura densa e icastica di Vincenza Alfano si abbandona alla poesia. Le parole, oscillando in un dondolio tra l’onirico, il reale e il surreale, entrano con rispetto, pudore, dolcezza e sofferenza nel dolore che si fa persona e, come per magia, la poetessa dei Navigli ci viene incontro e si disvela a noi nella sua femminea, fiera e poetica drammaticità. Ora il ricamo è finito. Sul telo bianco appare l’anima di “una donna folle, combattiva, lei che sembrava così diversa è invece così simile a noi.”
È questa la Alda di Vincenza Alfano, che nei versi scuciti della poetessa milanese ricompone la sua storia d’amore.
“C’è sempre un grano di pazzia nell’amore, così come c’è sempre un grano di logica nella follia.” (F. Nietzsche).
Vincenza Alfano vive a Napoli. Insegnante e scrittrice di notevole spessore nell’attuale panorama della narrativa, cura e conduce un laboratorio di scrittura creativa, “L’officina delle parole”. Come giornalista collabora con Il Corriere del Mezzogiorno. Al suo attivo le antologie in Cento parole per L’Erudita e più romanzi per alcune case editrici, tra i più noti ricordiamo L’Unica ragione (Homo Scrivens), Balla solo per me (Giulio Perrone Editore), Chiamami Iris (L’Erudita) e da ultimo Perché ti ho perduto (Giulio Perrone Editore), marzo 2021, qui recensito.