Le esequie del Principe Filippo ci hanno suscitato non pochi interrogativi. Primo fra tutti lo stridore tra la riservatezza della cerimonia privata, comunque solenne, e la diretta televisiva in mondovisione: in epoca covid una sorta di “smart entombing” cui alla fine tutti hanno partecipato, da remoto. Strano che Mentana non ci abbia rifilato una delle sue ormai celebri “maratone”. Ci ha così risparmiato un dibattito con relativo sondaggio sulla possibilità che dal feretro uscisse un sospiro, una voce che denunciasse uno dei rarissimi casi di seppellimento prematuro, come nel racconto di E.A. Poe. Esclusa evidentemente dal confronto in studio ogni ipotesi di resurrezione, evento non estensibile a soggetti di età superiore ai 33 anni, figurarsi a chi ne ha tre volte tanti.
Usciti indenni da inquietanti colpi di scena, ci siamo rassegnati all’idea che anche un membro della famiglia reale britannica possa abbandonare questo mondo, sia pure con comodo, lasciando comunque segni indelebili della sua esistenza come biografie, ritratti, citazioni nei testi di storia ed altro.
A noi comuni mortali resta al massimo una lapide col nome e un paio di date incise nel marmo insieme alle solite frasi di circostanza decise dai figli non senza discussioni. Solo qualche rarissima iscrizione si rivela originale tipo: “Gennaro Esposito pasticciere. Qui giacciono le sue sfoglie mortali”. Questo argomento è stato oggetto di numerose conversazioni in famiglia, sollecitate da me che, in quanto membro più anziano, ritengo mi spetti per primo uscire dal gruppo, lasciando agli altri il compito di rendere le tracce della mia esistenza più o meno rispondenti alla mia natura. Allo stato concorrono all’iscrizione sulla lapide le seguenti alternative, tutte rispettose del mio pensiero riguardo all’esistenza umana: “Senza nulla a pretendere”, “Lascio questa valle di lacrime senza aver pianto abbastanza. Me ne scuso profondamente”. Ma anche più demenziali, come: “Mi è andata più che bene: meglio di così si muore.” Oppure “Lasciatemi andare, non insistete” o anche “Veglierò sopra di voi o forse sotto o a fianco, dove preferite”. E, per finire, “Non disperate, mi farò vivo prima o poi” o “Lo so, ho lasciato un vuoto: occupatevi voi di smaltirlo nell’apposito raccoglitore.”
La discussione è tuttora in corso perché qualcuno contesta il tono surreale delle mie scelte e vorrebbe introdurre almeno qualche nota di serietà, che però poco si addice alla mia natura più intima. Se non si arriva ad un compromesso decente, chiederò di essere cremato (e non “cromato”, come diceva qualche anno fa un comico in TV, lasciando immaginare una salma più o meno simile alla statuetta dell’Oscar). Ma anche questa soluzione non ci trova tutti concordi. Cosa ne facciamo delle ceneri? Alcuni preferiscono lo spargimento in luoghi della memoria che diano loro il senso di un ritorno totale alla natura, alla terra. C’è poi chi opta per lo spargimento in mare immaginando di affidare i propri resti al movimento incessante delle onde. Ma c’è anche chi intende tiranneggiare sui poveri superstiti anche da morto. Si racconta di un vecchio dispettoso che diede disposizioni perché le sue ceneri fossero sistemate in un’area precisa del suo giardino, fissandone anche lo spessore dello strato, che doveva essere categoricamente uniforme per potervi poi appoggiare una lastra di cristallo. Alla sua morte gli eredi si accordarono immediatamente per seppellirlo senza neppure cremarlo.
La mia preferenza in proposito sarebbe di dividere le ceneri in tre diverse ampolline, affidandone una a ciascuno dei miei figli perché la tenesse in casa. Anche mia moglie subirebbe, a sua volta, il medesimo trattamento e le sue ceneri si unirebbero romanticamente alle mie nelle tre ampolline. Il programma, che non dispiace neanche a lei, ha suscitato però qualche riserva: tenendole bene in vista, come a noi piacerebbe, se una delle ampolline dovesse cadere per terra rompendosi, cosa succederebbe? Beh, niente di male: basterà prendere la scopa e andrà in scena un’imprevista “spazzata” post mortem.