“Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”, cantava il mitico Giorgio Gaber in una delle sue canzoni più famose, un testo amaro dedicato al Bel Paese. Ad oggi i motivi per concordare con la lettera scritta dal signor G sono ancora molti, uno di questi è il settore strategico che caratterizza il tricolore: l’industria bellica, la fabbricazione e la vendita di armi soprattutto a quei Paesi che calpestano i diritti umani in nome della guerra e del profitto. A marzo scorso, quando il nostro Paese si arrendeva al virus, sconfitto anche a causa di ingenti tagli alla sanità pubblica apportati negli ultimi quindici anni, e mentre gran parte delle industrie si fermavano o chiudevano, il Governo ha deliberatamente scelto di continuare a favorire l’industria bellica: nessuna restrizione al settore numero uno. Forse gran parte del Paese, tra chi abbassava una serranda e chi soccorreva h24 malati nelle terapie intensive, avrebbe preferito una conversione economica verso l’industria sanitaria, magari con l’acquisto di materiale adeguato o la creazione di ospedali e reparti Covid.
“Non ci sembra giusto che mentre tutte le attività produttive si fermano per motivi sanitari, solo la produzione di armi rimanga aperta”, ha dichiarato alle telecamere di Presa Diretta, Francesco Vignarca della Rete Italiana Pace e Disarmo. Gli stanziamenti relativi al biennio 2020-2022 per le spese militari segnano numeri impressionanti per un Paese che di fatto non è in guerra. Nuovi caccia per 11 miliardi di euro, sottomarini per 4 miliardi e 100 milioni, blindati per 1 miliardo e 500 milioni, elicotteri per 2 miliardi. Il bilancio annuale della difesa è passato così da 22 miliardi e 940 milioni a 24 miliardi e 580 milioni. Intanto, però, in questo quadro spaesante, ci venivano somministrate dai media pillole di angoscia e dolore come le durissime immagini di Bergamo. Uno spreco di fondi pubblici che lascia l’amaro in bocca, se pensiamo che il settore bellico viene finanziato dieci volte più di quello della sanità.
International Peace Bureau, la più grande associazione pacifista mondiale, nel 2005 ha lanciato una campagna per denunciare gli sprechi dell’industria bellica mondiale proponendo una conversione verso nuovi sviluppi sostenibili per il Pianeta, sottolineando la necessità di un tavolo organizzativo per dar vita alla “sicurezza umana”, un programma che metta in sicurezza la vita di quelle popolazioni costantemente minacciate da disastri ambientali. Sarebbe utile anche in chiave di prevenzione per l’era delle pandemie, così come è stata definita dalla Presidente della Commissione europea von der Leyen. Insomma ai vari governi pare non interessare questo discorso, il tema della difesa militare appare ad oggi preponderante rispetto a un nuovo percorso sulla salute che metta al centro l’uomo e non il profitto.
Il problema cruciale resta anche: a chi vendiamo i nostri prodotti da guerra? Principalmente a quei Paesi che calpestano i diritti umani. In cima alla lista compare il nostro partner numero uno: la Turchia di Erdogan. Introiti per 122 milioni di euro grazie alla vendita di munizioni, elicotteri da guerra, missili.
Uno schiaffo alla memoria di Giulio Regeni e all’ingiusta reclusione di Patrick Zaki è apprendere come il secondo partner sia l’Egitto del dittatore al Sisi. Una figuraccia per il Governo che ad ottobre scorso, per bocca di Conte e Di Maio, aveva annunciato lo stop della vendita di armi ad al Sisi. Lo scorso 25 dicembre la prima fregata, Al Galala, parte per l’Egitto dal porto di La Spezia, nel silenzio generale quasi sì volesse nascondere l’azione. Eppure la legge del nostro Paese vieta la vendita di armi verso i Paesi che non rispettano le convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Lo rivendicano i genitori di Giulio Regeni torturato e poi ucciso, riguardo al quale il Governo e i servizi segreti italiani al momento hanno fatto ben poco per dare giustizia alla famiglia.
Ma la sfilza di paesi continua: nel 2019 l’Italia ha venduto armi al Pakistan per una commessa di 682 milioni di euro. Impressionante è vedere come i governi Renzi e Gentiloni abbiano invece favorito l’esportazione di armi agli Emirati Arabi con vendite stellari: 304,4 milioni nel 2014 e 220 milioni di euro nel 2018.
Dunque chiudendo con le parole di Gaber, “Mi scusi Presidente non è per colpa mia ma questa nostra patria non so che cosa sia, può darsi che mi sbagli che sia una bella idea, ma temo che diventi una brutta poesia”.