Le pietre parlano

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Napoli, scorcio di piazza del Gesù nuovo (Foto di Vitold Muratov per Wikimedia Commons)

Diceva lo scrittore Curzio Malaparte parlando di Napoli: “È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico precristiano, misterioso, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno.” Con questo spirito ci apprestiamo a raccontare questa storia, ricca di mistero ma tutt’altro che inventata. La location è suggestiva e famosa: Piazza del Gesù Nuovo a Napoli. Oggetto della nostra attenzione sarà l’edificio imponente che ospita la chiesa omonima, in particolare la facciata di piperno in bugnato piramidale e precisamente quei segni incisi su tante di queste antiche pietre.

Nel 1470 fu edificato l’immenso palazzo dall’architetto Novello da San Lucano per ospitare la nobile famiglia dei Sanseverino, principi di Salerno. La storia ci racconta che sia il principe Roberto Sanseverino che l’architetto Novello da San Lucano si dilettassero con la musica, con la magia e con i culti esoterici. Pertanto quegli strani segni incisi sulle pietre della facciata, secondo una delle ipotesi, (Mario Buonoconto, Napoli esoterica. Un itinerario nei “misteri” napoletani, Roma 1996) dovrebbero essere una sorta di incantesimo rivolto ad incanalare le energie positive verso l’interno dell’edificio e a respingere quelle negative verso l’esterno. Secondo i sostenitori di questa fantasiosa ipotesi, qualcosa sarebbe andato storto: i mastri pipernieri incaricati della posa delle bugne, corrotti dai nemici del principe di Salerno, avrebbero capovolto le pietre per alterare l’incantesimo e attirare così la sventura sul palazzo e su chi lo avesse abitato. Le prove addotte sarebbero da ricercare nell’esistenza travagliata dei vari proprietari che lo occuparono nei secoli e dell’edificio stesso. Infatti il palazzo fu confiscato una prima volta nel 1485 mentre i Sanseverino furono esiliati per aver preso parte alla “congiura dei baroni”. Ritornato in loro possesso nel 1547 fu poi messo all’asta a seguito dell’esilio definitivo della famiglia, avvenuto nel 1522. Nel frattempo si era diffusa l’idea che il palazzo fosse maledetto. Solo dopo 32 anni, nel 1584, la Compagnia di Gesù lo acquistò (ad un pezzo stracciato) per trasformarlo in una chiesa. Le sciagure non finirono però; nel 1639 la chiesa prese fuoco, nel 1688 crollò la cupola, nel 1767 i gesuiti furono espulsi dal regno e la compagnia sciolta. Nel frattempo la chiesa, affidata ai Francescani temporaneamente, nel 1774 subì un nuovo crollo della cupola. Lo stesso ordine gesuita dal 1806 al 1900 (anno in cui rientrò definitivamente in possesso dei locali) visse altre 4 espulsioni e scioglimenti. Durante i terribili raid aerei alleati, nell’agosto 1943, la chiesa non andò definitivamente distrutta solo perché una bomba da 300 quintali, che l’aveva centrata in pieno, rimase miracolosamente inesplosa. Una serie di “piccoli e sfortunati eventi”?

Andiamo avanti nell’indagine; la seconda ipotesi sulla origine dei misteriosi segni della facciata è molto meno affascinante. I simboli non sarebbero altro che sigle identificative delle squadre degli scalpellini e dei cavatori di piperno, incise solo per rivendicarne la paternità e riscuoterne il compenso. (Martin Rua, Napoli esoterica e misteriosa, Newton Compton editori).

La terza e più accreditata ipotesi (formulata recentemente dagli storici dell’arte De Pasquale e Rèz) ci rivela che i simboli incisi altro non sono che lettere dell’alfabeto aramaico usate anche come note musicali. Pertanto la facciata del Gesù Nuovo sarebbe un immenso spartito. Non uno spartito comune da leggere da sinistra verso destra ma uno spartito bustrofedico (secondo la definizione del vocabolario Treccani: «una scrittura che non ha una direzione “fissa” ma procede in un senso fino al margine scrittorio e prosegue a ritroso nel senso opposto, secondo un procedimento “a nastro”, senza “andare a capo” ma con un andamento che ricorda quello dei solchi tracciati dall’aratro in un campo”). La melodia ricavata dalla traduzione dei segni è stata chiamata “Enigma” e la potete ascoltare qui. Questa ipotesi sarebbe accreditata dal fatto che, come già detto, sia il principe di Salerno, Roberto Sanseverino, che l’architetto Novello da San Lucano erano appassionati di musica e magia, sia dal fatto che, sulla facciata di un altro edificio costruito dall’architetto Novello a Eger, in Ungheria, si possono ammirare gli stessi simboli. Gli storici hanno fatto notare inoltre che la musica in questione è molto simile all’opera “Herr Jesu Christ, dich zu uns wend’, BWV 655”, composta da Johann Sebastian Bach (forse vicino alla massoneria) quasi tre secoli dopo, nel 1748.

Tutte affascinanti queste ipotesi, che contribuiscono a rendere ancor più significativo quanto scritto sulla targa, affissa alla facciata della Chiesa, che recita così: «Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa.» Queste le motivazioni dell’UNESCO che dal 1995 ha incluso il centro storico di Napoli nel Patrimonio mondiale dell’umanità.

Insomma, come direbbe il giornalista Alessandro Sortino, “le pietre parlano, ti parlano se tu sai ascoltarle”.

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