Il 12 novembre 2019 con una Bibbia in mano, dinnanzi ad una sala semi deserta nel Parlamento, Jeanine Áñez si era auto-proclamata Presidente ad interim della Bolivia. “La religione cristiana è tornata a capo del Paese”, annunciava la presidentessa che vedeva nell’indigeno Morales un uomo indegno per aver reso il Paese laico. La “vittoria” di Áñez fu definita, da molti giornali europei che si definiscono progressisti, un successo, in quanto in Bolivia il femminismo era al potere. Nulla a che vedere con il femminismo, Áñez pochi giorni dopo aver contestato la vittoria alle urne di Evo Morales, aveva chiesto al comandante generale delle Forze armate Williams Kaliman di schierare l’esercito e di reprime i manifestanti, ovvero i cocaleros che marciavano per rivendicare verità. A Sacaba, vicino a Cochabamba, polizia e soldati su ordine di quella che sarebbe diventata poi la presidentessa, apriva il fuoco sui manifestanti, e a Senkata, El Alto, lo scenario fu simile, con folle di campesinos in fuga che venivano sparati alle spalle. Il bilancio fu di una quarantina di morti e 200 feriti circa. Una carneficina nel nome della Bibbia e della democrazia.
Ma facciamo un passo indietro. Dopo tre settimane di duri scontri nel Paese, in cui aveva visto il suo popolo massacrato dalla violenza dei militari, Evo Morales aveva rassegnato le dimissioni pur di evitare la guerra civile, rifugiandosi presso il Presidente messicano, Lopez Obrador. Nel 2019 la vittoria alle urne di Morales sul candidato di destra Carlos Mesa era stata troppo risicata per la controparte, che nelle settimane precedenti, appoggiando i grandi industriali del Paese, aveva fomentato numerose manifestazioni per alludere ad un malcontento generale. La vittoria alle elezioni era stata così messa in dubbio non solo dal partito di destra ma anche dall’OEA (Organizzazione degli Stati americani), dagli Stati Uniti e dai grandi della finanza, uno a caso Elon Musk, che pensava già a chiudere accordi finanziari con la nuova Bolivia di Áñez accaparrandosi grosse fette del mercato del litio per le sue Tesla. Ovviamente il Fondo monetario internazionale (FMI) appoggiava il nuovo scenario, Morales non era di certo benvoluto: con la sua nazionalizzazione delle principali industrie del Paese aveva scippato alla finanza mondiale delle risorse importanti. Il quadro così era completo. Ma come spesso accade nella politica attuale, per rovesciare un governo, per di più legittimo, di mezzo ci vanno i cittadini e la democrazia. Oltre ai morti, gli episodi di violenza di quelle settimane sono stati tantissimi, alcuni silenziosamente vivono nel ricordo di chi quei giorni li ha sofferti. I personaggi politici e una grossa fetta di popolazione a favore del Movimiento al Socialismo (MAS) di Morales sono stati tacciati di terrorismo e sovversione nei confronti dello Stato. La sindaca di Vinto e appartenente al MAS, Patricia Arce, è stata ripresa mentre veniva trascinata in strada, le venivano tagliati i capelli in segno di sconfitta, e le veniva versata della vernice rossa addosso tra spintoni e urla. È questo il clima che ha caratterizzato la elezione non legittima di Áñez. Così si fa un colpo di stato; terrorizzando e bullizzando, uccidendo, camuffando la verità, favorendo la tirannia.
Alle recenti elezioni dopo la vittoria di Arce, “erede spirituale” de “El Indio” Morales, una chiara rivincita popolare incarnata nelle parole di Morales, pronunciate dal suo esilio in Messico: “torneremo e saremo milioni”, Áñez, insieme ai ministri Álvaro Coímbra e Rodrigo Guzmán, è stata internata nel penitenziario di Obrajes con l’accusa di terrorismo, cospirazione e sedizione, dunque condannata a quattro mesi di carcere. La decisione del giudice Regina Santa Cruz è arrivata dopo che Áñez è stata trovata a Trinidad, dove si nascondeva nello scantinato di casa dei suoi familiari. La OEA si è già espressa a favore dell’ex presidentessa, mostrando preoccupazione per ipotetici abusi giudiziari. Jeanine Áñez invece invoca l’aiuto di Stati Uniti e Unione Europea per ottenere un processo regolare. Intanto il mandato d’arresto si estende anche ai generali di forze di polizia e militari che in quei giorni perpetrarono massacri e violenze ai danni della popolazione. Ecco come fallisce un golpe.