Domani Rai1 manderà in onda, con un po’ di ritardo, un film sulla vita di Renato Carosone: ci avesse pensato lo scorso anno, la cosa sarebbe coincisa col centenario della nascita avvenuta il 3 gennaio 1920.
In effetti una commemorazione solenne non sarebbe stata fuori luogo perché Carosone può a buon diritto essere incluso nella schiera dei grandi napoletani del secolo scorso. Lo dimostrano la sua attività musicale e la sua biografia. Quest’ultima, reperibile su Wikipedia, oltre ad illustrarne diffusamente “vita ed opere” ci dice quanto la natura di Carosone fosse scevra da ogni forma di esibizionismo così come lo sono state quelle di Viviani, dei De Filippo, dello stesso Totò, di Massimo Troisi e di Pino Daniele.
Carosone rappresentò negli anni ’50 il biglietto da visita di una Napoli che si andava ricostruendo e rinnovando dopo i disastri della guerra. Le carte che Napoli poteva giocarsi su questo terreno si collocavano innanzitutto nell’ambito della musica e dello spettacolo. Sotto questo aspetto la posizione di Napoli nel panorama nazionale era assolutamente predominante. Milano era ancora periferia: Strehler, il Derby sarebbero venuti di lì a poco. Nel cinema era agli esordi Fellini mentre erano già amatissimi, anche all’estero, Rossellini e De Sica, napoletani d’adozione. Anche il cinema di consumo gravitava intorno a Napoli. Un ruolo essenziale in questo predominio era svolto dagli straordinari caratteristi partenopei ma soprattutto da Totò. Soltanto Roma poteva offrire qualche produzione concorrenziale avvalendosi di grandi attori e fantasisti come Aldo Fabrizi, Renato Rascel e il giovane ma già affermato Alberto Sordi. Il teatro dialettale del resto d’Italia non poteva in alcun modo competere col teatro di Eduardo, che dominava la scena nazionale.
Ma soprattutto la canzone napoletana resisteva bellamente al confronto con le canzonette “in lingua”: il “Festival della canzone napoletana”, inaugurato nel 1952, un anno dopo quello di Sanremo, veniva trasmesso in TV con un successo appena di poco inferiore, successo poi replicato qualche anno dopo con la manifestazione canora di fine estate, la Piedigrotta, anch’essa mandata in onda dalla Rai.
È in questo scenario che si affaccia la figura fortemente innovativa di Renato Carosone. La sua intuizione, maturata grazie alle pregresse esperienze oltre confine, fu quella di introdurre nella canzone napoletana i ritmi nordamericani, come il fox trot, lo swing e il rock, seguiti qualche anno dopo anche da quelli sudamericani ed in particolare dal cha cha cha.
Nello stesso tempo anche i testi si spingevano oltre confine, pur restando saldamente ancorati al folklore napoletano. Nascono così i successi straordinari di “Tu vuò fa l’americano”, “Caravan petrol”, “Torero”, “‘O sarracino” tuttora noti anche ai più giovani. Ma, pur nell’assoluta diversità dei personaggi evocati, Carosone trova un filo conduttore che lega quasi tutte le sue caratterizzazioni in una unica narrazione: è la sigla, il marchio di fabbrica, quel promettente annuncio “Canta Napoli”, seguito da un’allusione al tema della canzone e da un “eh, eh” ironico e ammiccante. E quindi “Caravan petrol” veniva introdotta da un “Canta Napoli, Napoli petrolifera, eh eh”. Così come “Canta Napoli, Napoli matrimoniale eh, eh” precedeva “T’è piaciuta”. Sotto questo marchio di fabbrica Carosone non convogliava però le canzoni portate al successo da altri cantanti, come “’A Sonnambula”, “Chella là”, che lasciava rispettosamente incontaminate.
Tutti i personaggi creati da Carosone con la collaborazione dell’autore dei testi, Nisa (pseudonimo di Nicola Salerno, paroliere già noto per i testi di alcune famose canzoni in lingua), benché al passo con i tempi, non si staccano dal contesto popolare napoletano e coinvolgono quindi tutti gli ascoltatori, da quelli più esigenti a quelli che si accontentavano della semplice e colorita allegria trasmessa dalle parole e dalla musica, sempre in perfetta simbiosi. La felice comunicativa dei brani cantati da Carosone o dal suo alter ego canoro, Gegè Di Giacomo, andarono ben oltre il successo locale invadendo l’intera nazione e sfondando anche all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Il numero di canzoni lanciate sul mercato attraverso dischi, radio e poi anche televisione fu impressionante. Non tutti erano capolavori perché spesso nascevano sull’onda della moda del momento come “‘O pellirossa” e come i grandi successi innanzi ricordati. Ma non mancarono brani solo raramente evocati, come “‘O suspiro”, “T’è piaciuta” (canzone divorzista sotto traccia, dati i tempi) ma anche “Nenè e Pepè”, “‘O russo e ‘a rossa”, “Mò vene Natale”. Carosone ci lascia anche canzoni melodiche tra le quali spicca “Maruzzella” tuttora abbastanza nota ma all’epoca un successo tale da guadagnarsi la versione cinematografica di cui fu protagonista lo stesso Carosone. Non mancò neppure un’incursione doverosa nella parodia, meritatissima, di una canzone che conquistò il terzo posto al Festival di Sanremo del 1954. Già il titolo, “E la barca tornò sola”, suscitava una certa preoccupazione: il testo, che rinvia ad una vecchia leggenda, è una vera tragedia e narra l’annegamento di tre fratelli pescatori votatisi all’eroico salvataggio di una “incognita straniera” (dove incognita sta per sconosciuta) a bordo di un “legno” (che sta per imbarcazione) e infatti “il mare urlava cupo quella sera e il legno dell’incognita straniera cercava aiuto in tutto quell’orrore”. Carosone ne ridicolizza il testo in maniera feroce, al punto di rappresentare l’annegamento con un gargarismo irridente. Ma questa è un’eccezione, evidentemente motivata dal rifiuto della retorica presente nella canzone, al senso della misura che caratterizzò tutta la sua vita artistica e professionale.