Le Canarie: un inferno per i migranti

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Paradiso per molti, meta turistica ed esotica dove trasferirsi a lavorare in smartworking, le isole Canarie rappresentano quel satellite europeo in continente africano visto come via di fuga. E nell’ultimo periodo lo sono state davvero. A poche miglia dal Marocco, le isole sono diventate negli ultimi mesi un punto nevralgico per la rotta dei migranti in arrivo in Europa. A causa delle nuove regole del nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo messo in atto dall’Unione Europea, delle misure stringenti di respingimento alla frontiera e di quelle di contenimento della pandemia, i migranti (soprattutto provenienti da Senegal, Mauritania e Zambia) cercano rotte alternative per poter riuscire ad arrivare in territorio europeo. Così Gran Canaria, Tenerife e Fuerteventura sono diventate il limite della frontiera europea e rischiano di trasformarsi in una nuova spirale infernale di detenzione, come l’isola greca di Lesbo o la rotta balcanica che passa per la Bosnia-Erzegovina. Le persone che intraprendono i viaggi dai Paesi africani verso le isole Canarie affrontano un viaggio molto rischioso, non solo per la grande distanza geografica, ma anche per i forti venti oceanici che battono in quest’area. Si stima che nel 2020 sono state circa 1.851 le vittime sulla rotta canaria.

Il Ministero dell’inclusione del governo delle Canarie sta attuando il cosiddetto Plan Canarias, con la costruzione di 6 centri di accoglienza, chiamati CETI (Centros de Estancia Temporal de Inmigrantes), centri di permanenza temporanea per migranti con una capienza di circa 7.000 persone. Uno di questi campi si trova a Tenerife, precisamente il centro Las Raìces, che è stato oggetto di forti critiche e proteste da parte della popolazione locale, in quanto i migranti sono stati accolti in tendoni che a causa della forte umidità e delle precipitazioni frequenti si trovano spesso inondati, senza contare le scarse condizioni igieniche e di sovraffollamento: “come se fossimo in un carcere”, queste le parole di un migranti di 28 anni, diretto in Italia, dove si trova il resto della sua famiglia. Gli ostacoli burocratici per accedere allo status di protezione internazionale spesso causano mesi di attesa, e i migranti si trovano in un limbo in cui non possono nè lavorare nè entrare in Europa e muoversi dal Paese di primo ingresso. Gli standard di igiene e di accoglienza nei campi, poi, sono al limite. Secondo Patricia Fernández Vicens, avvocatessa dell’associazione “Coordinatrice di quartieri” di Madrid, “la cosa singolare delle Canarie è che i centri che hanno aperto ai migranti non garantiscono il riposo, l’intimità e, in alcuni casi, perfino l’alimentazione”. La polizia locale, inoltre, sta mettendo a punto un piano di arresti e detenzioni arbitrarie di numerosi migranti intercettati per le strade delle città canarie, ponendo i migranti in una condizione di paura perfino di camminare liberamente alla luce del giorno.

La pressione migratoria continua ad essere un problema endemico della nostra società e sembra quasi che si moltiplichino le rotte migratorie ed i punti di accesso per entrare nel nostro continente. In realtà non è così. Il nuovo Patto europeo non ha fatto altro che acuire un problema già esistente, ma la rotta canaria, così come la rotta balcanica, è un crocevia di morte e di limbo burocratico. Il Covid-19 ha solo reso maggiormente visibile questo processo che, a causa delle restrizioni sanitarie, sta evidenziando tutti i limiti, i trattamenti disumani e le scarse condizioni di igiene che queste persone vivono costantemente. Il fatto che ora il fenomeno migratorio si stia concentrando maggiormente nelle isole Canarie ci sorprende, perchè in qualche modo tocca un avamposto spagnolo in territorio africano, le isole, mete esotiche che nel nostro immaginario è strano che vivano questo ossimoro.

Eppure la realtà riesce sempre a stupirci, a farci vedere sotto altra luce qualcosa che sappiamo, che conosciamo, ma che fingiamo di non vedere, voltandoci dall’altra parte. E questa indifferenza spesso riesce a trasformarsi in odio: nell’isola di Gran Canaria sono stati numerosi gli episodi di violenza contro i migranti, la polizia ha perfino intercettato conversazioni su WhatsApp in cui alcuni gruppi, per fortuna rappresentanti di una piccola minoranza, organizzavano spedizioni punitive. La motivazione? I migranti avrebbero commesso delitti ed atti illeciti, rappresentando un pericolo per la sicurezza. È stato proprio il governo spagnolo a smentirli, con l’evidenza dei dati: nel 2020 sono stati 45 i delitti rilevanti dal punto di vista della sicurezza commessi da migranti. In verità, gli intolleranti sono solo una piccola minoranza della popolazione canaria, la quale anzi ha mostrato grande solidarietà nei confronti dei migranti. Addirittura, molti albergatori, chiusi a causa delle conseguenze della pandemia sul turismo, hanno messo a disposizione le proprie strutture per accogliere i richiedenti asilo. La rotta canaria continua a tenerci con il fiato sospeso, consapevoli che questo sarà solo l’inizio di un processo che ha bisogno di risposte tempestive da parte dei governi e soprattutto una maggiore concertazione ed unità dal punto di vista europeo, ricordandoci che non parliamo di numeri, ma di persone, fatte di carne, sangue, e vita. Finché non capiremo questo, ci saranno tante rotte canarie, balcaniche, greche a fare da copertina ai nostri quotidiani nazionali per poi, il giorno dopo, essere dimenticate. Proprio come loro, in quei campi di detenzione, continuano ad esserlo, guardando il cielo in pochi metri quadrati e sperando un giorno di conquistare un briciolo di libertà. Ma soprattutto di dignità.  

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