A un anno dallo scoppio della pandemia da coronavirus, dopo l’iniziale disorientamento senza una rotta univoca ad oggi, l’Europa sembra reagire, seppur in maniera poco decisa, a quello che è stato forse il più grande stravolgimento di vite umane dopo la seconda guerra mondiale. Ovviamente, in questa fase delicata non si trova solo l’UE ma tutto il mondo (o quasi). Nel Vecchio Continente però da settimane si fanno i conti con i vaccini da iniettare e soprattutto con le scorte richieste alle Big Pharma che prendono tempo, come se in ballo non ci fossero le vite di miliardi di persone; un gioco senza regole che solo le leggi del capitale poteva creare. Così, mentre l’immagine di un’Europa solida vacilla, Austria e Danimarca annunciano che non faranno più affidamento sull’Unione Europea per quanto riguarda la seconda dose di vaccini; stufi di aspettare si sono rivolti già ad Israele. Iniziano così i primi tavoli di contrattazione per produrre le dosi di vaccino per il secondo richiamo.
Intanto però al centro del dibattito pubblico europeo c’è il passaporto vaccinale o come già lo definiscono il “green pass”, una proposta di Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, la quale, tra i tanti grattacapi che ha, pensa ad un “via libera sicuro” per l’estate. Salvare l’estate e riprendere il turismo è una priorità e questo si è capito: le strutture di ricezione, le compagnie aeree, i luoghi esclusivi di vacanze spensierate e tanto altro, insomma il mondo dei viaggiatori e di chi vive di questo è in profonda crisi e durante questi mesi di lockdown non hanno mai visto la luce in fondo al tunnel. Ma non sarà un tantino eccessivo parlare di un green pass esclusivamente per salvare l’estate? Forse il passaporto vaccinale si dovrebbe inserire in un discorso di più ampie prospettive; d’altronde proprio von der Leyen ha dichiarato pochi giorni fa: “preparatevi all’era delle pandemie”. Ma nel pratico cos’è questo passaporto vaccinale?
Il green pass si pone l’obiettivo di ripristinare la mobilità, un certificato che permette solo a quelle persone che hanno ricevuto le dosi anti-covid di riprendere le valigie per viaggiare e muoversi liberamente senza restrizioni. Questo patentino di immunità però presenta delle contraddizioni enormi che non vanno sottovalutate. Partiamo dal presupposto di base ovvero quello scientifico/sanitario: il green pass si basa sul fatto che chi si è vaccinato sia un elemento protetto, la scienza ad oggi però ci dice che non è proprio così; infatti i vaccinati possono comunque trasmettere il virus. In secondo luogo: in un Europa con ancora grandi diseguaglianze per l’accesso ai vaccini, con continui contrasti con le case farmaceutiche, come si può pensare di proporre un green pass senza fornire a tutti la dose anti-covid? Lasciar viaggiare prima i cittadini di uno stato piuttosto che quelli di un altro violerebbe l’uguaglianza di tutti se non addirittura il principio democratico della libera circolazione delle persone. Fino a quando i vaccini non ci saranno per tutti, il sol pensiero di questo passaporto crea già un discrimine tra “cittadini di serie A e di serie B”. Come osserva il costituzionalista Celotto: “Se il passaporto diventa europeo io, cittadino italiano, di fatto impossibilitato a vaccinarmi, rischio di non poter andare in un Paese i cui cittadini, invece, grazie ad una campagna più avanzata, possono venire in Italia. Tutti siamo impazienti di ripartire – ma bisogna cercare di farlo nel modo giusto” (agi). Sulla questione il 15 febbraio scorso è intervenuta anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenziando un altro rischio importante, ovvero che questo passaporto vaccinale potrebbe portare i viaggiatori vaccinati ad essere più superficiali nei confronti delle norme anti-covid, trascurando appunto che i vaccinati sono protetti ma possono comunque trasmettere l’infezione. L’Unione Europea (UE), con la sua portavoce Ursula von der Leyen, sembra così brancolare nel buio fornendo risposte non appropriate e decisive nella lotta al coronavirus; azzardare l’idea di un passaporto vaccinale potrebbe portare grossi rischi quali un grande mercato nero dei vaccini per chi è impaziente di partire o anche dar vita a una nuova discriminazione sociale tra chi è più importante e chi meno nel ricevere la dose. Insomma la fretta non porta mai buoni consigli, speriamo che, più che salvare l’estate, l’UE pensi a risposte adeguate. Mala tempora currunt.