A una settimana dalla visita di Papa Francesco in Iraq nella terra di Abramo, una settimana fa i missili di Joe Biden. La politica attuale è così, controversa, a volte contraddittoria, come i personaggi pubblici di quest’epoca. Dopo un mese dall’insediamento anche Joe Biden mostra i muscoli e lo fa con un attacco missilistico nel nord est della Siria al confine con l’Iran. L’OSDH (Osservatorio siriano dei diritti umani) ha comunicato che 22 persone hanno perso la vita mentre trasportavano con un camion proiettili e armi nei pressi della città di Bukamal nel nord-est siriano. Nonostante sia ancora da confermare, le forze colpite e uccise dall’attacco lanciato da Biden appartenevano alle organizzazioni di Hashed al-Shaabi Kataeb Hezbolá e Kataeb Sayyid al Shuhada, corpi di militari appoggiati dal governo iraniano.
Dall’America sia Biden che il portavoce della Difesa, John Kirby, affermano che questi attacchi sono in risposta alle ripetute offensive subite dalle forze armate americane presenti in Iraq nelle scorse settimane. E così la guerra sembra un gioco, un risiko fatto di telefonate e conferenze stampa in cui i capi di stato si attaccano alla luce del sole. Che stridente contrasto con la visita del Papa di pochi giorni prima.
Che messaggio ha voluto dare Biden, il quinto presidente statunitense di fila a continuare la guerra in Medio Oriente? Intanto i rapporti tra USA e Iran si raffreddano ancora di più, il portavoce della difesa ha affermato che le operazioni sono state autorizzate dopo il consenso ricevuto dal governo iracheno; il governo iracheno a sua volta smentisce. In ballo c’è una questione spinosa da non sottovalutare: le accuse di violazioni della sovranità nazionale. Intanto negli USA i repubblicani non vedevano l’ora di osservare il nuovo Presidente all’opera. Appoggiato dai repubblicani, Biden ha affermato di aver agito per far capire che proteggerà i suoi soldati sul suolo estero; al contrario, i democratici lo hanno criticano: “Biden è il quinto presidente consecutivo ad ordinare attacchi in Medio Oriente”, ha affermato il deputato Ro Khanna, democratico e membro della commissione per gli Affari Esteri. L’attacco sferrato ai danni di un gruppo che opera sotto il controllo dell’Iran crea grattacapi per quanto riguarda le nuove negoziazioni che gli USA dovranno fare con Teheran per il programma nucleare. Una questione spinosa che preoccupa il mondo soprattutto in un momento difficile quale quello che stiamo vivendo. Il governo a stelle e strisce vuole riprendere gli accordi del 2015, sospesi da Donald Trump, accordi che spingono fortemente gli Yankee a fermare le aspirazioni nucleari dell’Iran. Washington d’altronde difende i suoi attacchi spiegando che Teheran rappresenta una minaccia soprattutto per la stabilità sociale ed economica del Medio Oriente. I rapporti tra i due Paesi si sono congelati da quando gli statunitensi hanno ucciso Qasem Soleimani, un alto ufficiale del Corpo della Guardia Rivoluzionaria iraniana. Dalla morte del generale le forze irachene sembrano cercare a tutti i costi vendetta e gli analisti dicono che questi gruppi hanno preferito dividersi per essere meno ritracciabili dai gruppi di spionaggio nordamericani. Gli Stati Uniti inoltre rivendicano l’attacco contrapponendolo come risposta al raid del 15 febbraio nella regione del Kurdistan iracheno in cui sono rimasti feriti alcuni militari statunitensi. Ma la risposta del gruppo Kataib Hezbollah lascia sbalorditi tutti: “È strano che gli Stati Uniti ci abbiano bombardato per un attacco che noi avevamo a nostra volta condannato”. Intanto Biden e i suoi portavoce tirano in ballo anche l’Europa spiegando come prima dell’attacco siano stati consultati i suoi alleati; un “messaggio” per gli amici del Vecchio Continente affinché possano esercitare anch’essi pressioni su Teheran per la questione nucleare. In questo ballo tra potenti, il mondo si augura di non dover assistere a nuovi stravolgimenti planetari.