Ci si chiede, proprio in questi giorni, quale misterioso legame unisca Renzi ai suoi pervicaci sostenitori. La storia è piena di leader carismatici che si sono guadagnati il consenso devoto, e a volte fanatico, di schiere più o meno ampie di adepti. Questi movimenti hanno spesso preso il nome dal loro condottiero e così abbiamo avuto in politica il franchismo, il peronismo, il castrismo, tutti notoriamente autoritari nella loro struttura interna e spesso illiberali nell’azione politica.
Fatte le debite proporzioni dobbiamo riconoscere che esiste da qualche anno “il renzismo” cioè un movimento di persone unite sotto il nome e la guida di Matteo Renzi? Se si considerano le modalità che hanno provocato la crisi di governo in atto, la risposta non può che essere affermativa: parlamentari che lo seguono compatti e ministri che si dimettono lo dimostrano. Non sembri quindi peregrina l’idea di delineare un identikit del “renziano”, anche per comprendere quali possono essere le motivazioni di questa adesione. Chiariamo subito che non si diventa renziani per ragioni ideologiche: Renzi non ha alcuna ideologia. Altri capipopolo in circolazione, come Salvini e Meloni, hanno almeno uno straccio di proposta ideologica, per quanto nefasta: per Salvini oscilla tra il federalismo e il sovranismo, per la Meloni si ispira alla restaurazione con grosse venature fasciste. Le loro idee fanno breccia nei soggetti più irriflessivi e acritici.
Se un programma politico (ben lontano da una ideologia) si vuol proprio rintracciare nel renzismo è la vocazione centrista, priva di ogni attrattiva ideale e volta semmai alla mera ricerca di posizioni di potere. Su cosa poggia dunque l’aura di fascinazione che circonda il fanciullo prodigio di Rignano sull’Arno? Forse non c’è affatto: il nostro esuberante ed impertinente ragazzotto, che a noi baby boomer ricorda tanto “Superbone”, personaggio de “Il Monello”, giornalino a fumetti per adolescenti degli anni Cinquanta, non ha una storia personale di sofferenza, di dolore o di sacrificio che ne facciano un santo o un martire. Se può vantare un medagliere ricco di successi precoci, quali l’elezione alla carica di sindaco di Firenze, la scalata al PD dopo la vittoria alle primarie e l’incarico da premier che ne seguì, è pur vero che sono stati tutti malamente sperperati.
Se vogliamo parlare delle sue qualità personali, gli si può riconoscere una certa capacità dialettica e comunicativa: insomma, sa essere convincente e se facesse l’agente di commercio riuscirebbe a rifilarci qualunque bidone. Sicuramente è dotato di faccia tosta e di coraggio ma entrambi questi attributi non bastano ad alimentare entusiasmi o consensi incondizionati.
Cosa altro ci resta dunque a disposizione per tracciare il profilo del “renziano”? Se ci riferiamo ai colleghi parlamentari che lo hanno seguito in Italia Viva e poi nell’apertura della crisi di governo, possiamo dare un certo peso ad un sentimento di gratitudine misto a sottomissione per essere stati inclusi nelle liste elettorali da Renzi, all’epoca ancora segretario del PD. Nel caso poi di Bellanova, Bonetti e Scalfarotto l’uno e l’altro sentimento devono ritenersi evidentemente rafforzati dall’aver ricevuto un insperato incarico di governo, forse proprio in ragione della loro fedeltà, confermata dal doloroso sacrificio delle dimissioni. Lo stesso dicasi per Lotti e Guerini rimasti entrambi nel PD. Escludendo che il vincolo sia costituito da quei puerili “patti di sangue” in uso nei gruppi scout ai quali Renzi era iscritto da ragazzo e che potrebbero quindi aver coinvolto i suoi amici conterranei, come la Boschi e gli altri due lasciati a fare la guardia nel PD, Lotti e Marcucci, resta ben poco da immaginare.
Anzi non dovrebbe sfuggire a questi fidi scudieri la tendenza suicida di Renzi, una sorte di cupio dissolvi, l’altra faccia della sua sconfinata ambizione, tipica del giocatore di poker che rischia tutta la vincita nell’ultima mano perdendo tutto: lo stesso impulso incontrollabile che lo spinse a personalizzare il referendum costituzionale poi malamente fallito e, forse, la stessa apertura della crisi che potrebbe, in caso di elezioni, escluderlo dal Parlamento. Circostanza, questa, che comporterebbe oltretutto un consistente taglio ai cospicui compensi che il nostro esportatore di Rinascimenti consegue con le sue intollerabili conferenze all’estero (e dove, se no?), sfruttando forse la sua presenza nella Commissione Esteri del Senato. E tuttavia i seguaci di Renzi devono pur attendersi qualche gratificazione, certamente più concreta che ideale, del loro mentore. Staremo a vedere. Per quanto invece riguarda il semplice elettore-tipo di Renzi, quello che concorre a creare il misero consenso del 2,9% che gli attribuiscono gli ultimi sondaggi, resta davvero difficile tracciarne l’identikit senza coglierne almeno un profilo da autolesionista.
Identikit perfetto, anche troppo misurato, perché a me sarebbero venute in mente altre parole forse non sempre riferibili!