Politicamente corretto o culturalmente sbagliato?

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Elaborazione grafica di N. Neiviller

Dopo le estreme manifestazioni avvenute per l’ingiustizia del caso George Floyd, un sisma ha scosso la cinematografia del passato innescando una frenetica attività censoria che ha investito anche termini ritenuti offensivi.

Parliamo del politically correct, (politicamente corretto) una linea di opinione e un atteggiamento sociale orientato a delimitare l’offesa verso determinate categorie di persone e osteggiare, quindi, ogni tipo di pregiudizio razziale, etnico, religioso, di genere, di età, di orientamento sessuale, o relativo a disabilità fisiche o psichiche.

Molti sono stati i titoli cinematografici ad aver subito l’influsso di questa nuova ideologia, tra cui: Via col vento, che è stato dapprima eliminato dalla piattaforma HBO per contenuti razzisti e poi reinserito, riabilitato con un’operazione di contestualizzazione storico-ambientale. Anche il film Colazione da Tiffany è stato accusato di contenuti razzisti per aver sbeffeggiato Yunioshi, il vicino giapponese della protagonista, rappresentandolo con i denti sporgenti.

Questo processo ha travolto anche i cartoni animati per bambini, alcuni titoli Disney sono stati giudicati e valutati, per il loro contenuto, razzisti e sono stati vietati ai bambini di età inferiore ai sette anni. Attraverso questo filtro sono significative le analisi con le quali il colosso di cartoni animati argomenta e sostiene le sue decisioni.

Negli Aristogatti: il gatto è raffigurato con tratti stereotipati esagerati come occhi obliqui e denti da coniglio. Canta in un inglese poco accentato, doppiato da un attore bianco, e suona il piano con le bacchette. Questa rappresentazione rafforza lo stereotipo dello “straniero perpetuo”, mentre il film presenta anche testi che deridono la lingua e la cultura cinese come “Shanghai, Hong Kong, Egg Foo Young“.

In Dumbo: i corvi e il numero musicale rendono omaggio agli spettacoli di menestrelli razzisti, dove artisti bianchi con facce annerite e abiti laceri imitavano e ridicolizzavano gli africani schiavi nelle piantagioni meridionali. Il leader del gruppo nel film Dumbo è Jim Crow, che condivide il nome delle leggi che imponevano la segregazione razziale negli Stati Uniti meridionali. In “The Song of the Roustabouts,” lavoratori neri senza volto si affannano per testi offensivi come “Quando otteniamo la nostra paga, buttiamo via tutti i nostri soldi“.

Infine il film Peter Pan: ritrae i nativi in un modo stereotipato che non riflette né la diversità dei popoli nativi né le loro autentiche tradizioni culturali. Mostra che parlano in una lingua incomprensibile e si riferisce a loro ripetutamente come “pellerossa”, un termine offensivo. Peter e i ragazzi perduti si dedicano alla danza, indossando copricapi e altri tropi esagerati, una forma di derisione e appropriazione della cultura e delle immagini dei nativi.

Forse per gli Aristogatti e Dumbo un fondo di verità c’è, ma per Peter Pan credo ci sia un po’ di esagerazione, tutti da bambini abbiamo giocato a fare gli indiani, ci siamo dipinti il viso di rosso e abbiamo indossato piume in testa. Definire il termine pellerossa come offensivo credo non abbia alcun fondamento, faceva parte della cultura degli indiani d’America dipingersi il viso con ocra rossa.

Le parole della Disney nel disclaimer a riguardo sono: Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e sono sbagliati adesso. Piuttosto che rimuovere questo contenuto, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare la conversazione per creare un futuro più inclusivo insieme.

Queste sono le spiegazioni che potete trovare cliccando su questo link. Un approccio che ha sicuramente molti limiti.

Gli stereotipi, a volte, con un tocco di ironia, intercettano le diversità sia pur superficialmente. Il punto critico sono i rapporti di forza tra culture e subculture. Quando questi rapporti sono sbilanciati o dei gruppi si sentono minacciati nei loro privilegi, dallo sberleffo al razzismo il salto è breve. Non siamo tutti uguali sia come individui che come cultura, e avanzare e rivendicare queste diversità di fatto non giustifica giudizi di valore su persone e culture. Ci differenziamo nelle usanze, nelle religioni, nelle politiche e nei dettagli fisici ed emotivi che ci individuano. Non è sbagliato difendere la propria cultura come non è sbagliato riconoscere che non siamo tutti uguali, che abbiamo dei tratti distintivi evidenti in base ai quali nessuno deve essere discriminato. Eppure, molti colgono queste sfaccettature per incitare odio e per creare disagi sociali non indifferenti. Alcuni stereotipi che sono forme di conoscenza superficiale, di primo impatto nelle relazioni sociali, usati maldestramente e in mala fede distorcono la realtà e proprio per la loro carica emotiva hanno un forte impatto sociale. Gli stereotipi si trasformano in pregiudizi e preconcetti che modificano i comportamenti nei confronti di altre persone e di gruppi di minoranze, si formano così giudizi negativi ed ostilità basati su convinzioni talvolta errate perché generalizzate, dalla splendida e variegata diversità, colore della pelle, sesso e fascino esotico dello straniero si passa alle tristi e violente forme di razzismo, sessismo, xenofobia ed emarginazione sociale.

Questo nuovo orientamento di apertura verso la diversità è volto a promuovere l’eliminazione di antiche discriminazioni che continuano a persistere con tanto di violenza, sperando di allontanare l’idea che il colore della pelle, il paese di provenienza o l’orientamento sessuale possano costituire un pre-giudizio tale da condizionare e ostacolare quello che siamo capaci di fare o ciò a cui tendiamo.

Con questi atti si spera di giungere a un futuro senza diseguaglianze ma di certo non si può cancellare la storia, al contrario: il paradosso è che nel voler cancellare i segni di un passato si rischia di cancellare la memoria di ingiustizie e di sopraffazioni, lasciando aperta la possibilità di una loro sostanziale riproposizione.

Non sarebbe meglio se nell’insegnamento scolastico della storia, oltre a raccontare esclusivamente i fatti accaduti, si insegnasse anche per quale motivo sono catalogati come errori storici (le nefandezze del colonialismo, i massacri delle popolazioni indigene, lo schiavismo in epoca antica e moderna, la Shoah) che appartengono al passato e si aggiungessero delle discipline etiche volte all’insegnamento del rispetto dell’altro? Siamo tutti diversi e queste differenze individuali o di gruppo non fanno altro che renderci speciali e unici, non dovrebbero essere di certo un motivo di discriminazione e di sopraffazione.

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