2021: oltre la pandemia

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Due mascherine, simboli indiscussi dell’anno 2020 (Foto di www.unspalsh.com)

L’anno che si è appena concluso ha lasciato molte macerie alle nostre spalle. Il 2020 ha ridimensionato la visione onnicomprensiva degli uomini, che si sono dovuto misurare con un virus minuscolo e invisibile in grado però di stravolgere le nostre vite. Nonostante ognuno di noi abbia passato la maggior parte del tempo seduto su una sedia, chiuso in casa, il 2020 ci ha costretti a molte nuove abitudini. Abbiamo riadattato le nostre vite trasportando molte azioni nel famoso mondo virtuale: dallo smart working, alla didattica a distanza (DAD), videolezioni, persino arrivando alla nostra socialità sacrificata e riadattata con delle riunioni tra amici su WhatsApp o Zoom. Misure inasprite dal bombardamento mediatico con cui continuiamo a fare i conti. Il coprifuoco, le varie regioni d’Italia soggette a restrizioni, le zone rosse, il tutto mentre tra le strade le persone facevano di tutto per evitarsi, spaventate da un contagio. Purtroppo c’è poco da sorridere guardandoci indietro, anche perché, se proprio bisogna fare i conti con la realtà, molti frutti di questo disastroso anno li vedremo sbocciare tra poco: disoccupazione, traumi psicologici, smarrimento giovanile, mancanza di certezze e dunque di prospettive.

L’anno che abbiamo appena accolto, il 2021, è servito come scusante per provare a voltare pagina, la voglia di vedere la luce dopo 366 giorni di buio è troppa; ma molti inciamperanno nel fatto che il nuovo anno è frutto solo di una lancetta che segna un nuovo orario, in un nuovo giorno. Insomma è chiaro che abbiamo bisogno tutti dell’effetto placebo: provare ad essere ottimisti. Forse solo Il vaccino rappresenterà una certezza sulla quale aggrapparsi, eppure nonostante l’avanzamento tecnologico e scientifico della società nella quale viviamo, non c’erano mai stati tanti dubbi, incertezze e discussioni sulla validità di un vaccino prima d’ora.

Ma qualcuno ha già pensato a che mondo ci aspetterà quando saremo liberi di cestinare le nostre mascherine e potremo gridare che il virus è vinto? E se, finita la pandemia, molte delle restrizioni che viviamo continuassero ad esserci?

Tra i tanti esempi da proporre c’è il mondo dell’istruzione. La DAD, utilizzata da quasi mezzo mondo per sopperire all’insegnamento dal vivo, è stata sicuramente un metodo innovativo per provare a tamponare la catastrofica situazione. Un tentativo per diversi aspetti fallimentare: in Italia ci siamo trovati a fare nuovamente i conti con quelle che una volta chiamavamo differenze di classe. Molti bambini, appartenenti a famiglie meno agiate, hanno denunciato l’inefficacia di questo metodo: connessioni internet altalenanti, mancanza di laptop o strumenti adeguati per connettersi. I più lungimiranti invece si sono ribellati all’essenza stessa della DAD, rea di sottrarre ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze, la parte più importante dell’apprendimento a scuola: la socialità, l’integrazione, il contatto umano. La classe docente più vecchia d’Europa ha espresso grandi perplessità non solo per le difficoltà incontrate, ma soprattutto per il grado di digitalizzazione della società italica. Insomma chiariscono che la nostra classe politica ha fatto i conti senza l’oste, perché se a Milano la DAD sembra uno strumento innovativo, in un paesino siculo diventa inefficace. Ma il punto di vista più importante è certamente quello degli alunni; se all’inizio si vedeva la DAD come uno strumento più leggero delle lezioni standard, a lungo andare si è rivelato un mezzo che ha rallentato la realizzazione del programma scolastico, rendendo più complicato l’apprendimento. Inutile parlare di chi con disabilità e sostegno del docente ha percepito la DAD come uno strumento malefico. Insomma è chiaro che il rapporto umano è indispensabile soprattutto nell’insegnamento, impossibile dunque proporre una simile versione smart della scuola, rischieremmo solo di peggiorare la situazione.

Ma quello della DAD non è l’unico problema rivelato da milioni di italiani. Il telelavoro rappresenta un’altra spina nel fianco. Da marzo 2019 migliaia di aziende sono state indotte a prendere provvedimenti per permettere ai lavoratori di offrire le loro prestazioni da casa. Se all’inizio lo smart working ci è stato proposto solo per i suoi aspetti positivi come la diminuzione dell’assenteismo, la riduzione dell’inquinamento, l’abbattimento dei costi sugli spazi fisici, in realtà molti ne hanno criticato molteplici aspetti: in primis la difficoltà a dividere l’ambiente lavorativo da quello casalingo, molti operatori sostengono che in smart working si lavora di più guadagnando lo stesso. La solitudine è stata un altro elemento di sfiducia dei lavoratori. Lavorare a casa da soli per 7/8 ore davanti ad un pc, senza interazioni reali, è servito per alienare ancor di più le persone durante il periodo dei lockdown. Infine per alcuni “furbi” datori di lavoro lo smart working è servito per dimezzare gli stipendi in cambio delle stesse ore di lavoro. Dulcis in fundo il coprifuoco. Le limitazioni di circolazione durante la notte in realtà non hanno permesso al Comitato tecnico scientifico di rilevare importanti diminuzioni sulla curva dei contagi. Perché non poter uscire in tarda serata se comunque viene impedito a locali e ristoranti di restare aperti? Insomma le domande sono tante e le questioni divisive, quello che ci auguriamo per questo 2021 è il ritorno alla socialità, perché nulla potrà sostituire una pacca sulla spalla, un abbraccio o anche la “paura” del professore che, entrando in aula, potrebbe interrogarti.

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