Titolo e sottotitolo ci introducono immediatamente nell’atmosfera della città, con il suo passato esoterico che accentua la magia dei suoi mille volti e dei suoi tanti perché. Napoli: luci e ombre, il sopra e il sotto, allegria che talvolta diventa baldoria trasgressiva, tristezza che spesso si tramuta in pianto per le antiche cicatrici e le nuove ferite. Comicità e tragedia, ironia e poesia, nobiltà e povertà. Credo che a Napoli non manchi niente e se qualcosa mi è sfuggito, mi si perdoni. Ah, sì…il culto delle “capuzzelle” dei defunti. Ma di questo leggerete nel libro Le Pezzentelle di Vincenzo Russo, in cui si mettono in luce antichi riti, ancora oggi celebrati ma forse sconosciuti alle nuove generazioni. Sullo sfondo di una Napoli colorata da un’umanità variegata si muovono i personaggi del romanzo che, sul filo dell’ironia e della battuta immediata, induce il lettore a riflettere sul senso della vita e della morte.
La narrazione si snoda nel periodo dell’imminenza del Natale in uno dei rioni più antichi del centro storico, la Sanità. Il quartiere deve il suo nome all’aria salubre che vi si respirava nel lontanissimo 1500, allorquando venne preferito per le campagne che lo attorniavano, come luogo residenziale di dimora per le famiglie nobili e, nei secoli successivi, per i borghesi più facoltosi. Poi, si sa, il vento della storia gira e molte cose cambiano, non sempre in meglio. A farla breve il quartiere, tra alterne vicende e dopo lunghi decenni di degrado, soprattutto nella seconda metà del ‘900, ora gode di una nuova linfa vitale e torna ad essere apprezzato per la sua antica storia che si respira dappertutto.
Ed è per le sue strade e stradine, piazze e piazzette e in antichissime chiese che Vincenzo Russo sceglie di far muovere i suoi personaggi e loro microstorie di vita vissuta e reale. Il luogo privilegiato dall’autore però è il cimitero delle Fontanelle, dove da tempi remoti sono custoditi i teschi abbandonati e senza nome, che non avevano avuto conforto di sepoltura e di compianto. La pietas del popolo napoletano ancor oggi si manifesta nel prendersi cura di loro che chiedono, “petono” ai viventi la comprensione, il perdono e una prece per le loro anime dannate. I credenti adottano un teschio, che secondo la tradizione è sede dell’anima, senza sapere a chi sia appartenuto, nobile, povero, buono o cattivo che in vita sia stato, non importa più.
Con loro si parla come ad un amico, si confidano segreti, si chiedono consigli e vengono perfino curati e ripuliti periodicamente soprattutto dalle donne e, come avviene nel romanzo, affettuosamente ci si scherza perfino. E viceversa le anime vegliano su tutti, indistintamente, e questa “corrispondenza d’amorosi sensi” tra fedeli e anime dei defunti vanifica le sciocche disparità, perché la morte si sa è una Livella, per dirla con Totò, figlio del Rione Sanità.
Insomma le pezzentelle sono sacre. Guai a chi osa mettere in dubbio i loro poteri. E se casualmente, non per oltraggio, avviene una violazione o meglio un furto di ossa, il fatto scatena tutto il rione alla caccia del colpevole. Da qui prende le mosse il racconto che mette in moto tutto il quartiere. Ed ecco irrompere sulla scena i personaggi principali: Gennaro il custode del cimitero, Gianluca il giovane studente di medicina che, pur di superare un esame ostico, è disposto al tutto per tutto; un professore sui generis habituè dell’ossuario, Arturo e Nicola, due bonari furfanti che aiuteranno a sbrogliare la matassa. Intorno a loro altri personaggi che affollano la portineria del cimitero, ma soprattutto un nugolo di donne, viscerali, belle e prorompenti, simpatiche e intelligenti tra cui Filomena e sua figlia Brigida, Assuntina, Titina e Maria che abitano nelle vicinanze e frequentano il cimitero. A far visita alle pezzentelle anche una coppia di turisti giapponesi non certo mossi dalla fede o dall’interesse artistico, ma chissà… cosa avranno da chiedere a quelle capuzzelle?
In una girandola di situazioni tra l’esilarante, il grottesco, il misterioso, i festeggiamenti per il Natale e gli amori che nascono si dipanerà una trama avvincente e divertente. Grazie alla penna veloce e acuta di Vincenzo Russo sorrideremo, rifletteremo e rideremo di gusto.
L’autore è un operatore culturale impegnato nel sociale, più volte premiato per le sue attività. Dalla sua passione per la scrittura sono nati già altri romanzi editi da Homo Scrivens: Che bello lavorare! (2012), Una vita fa (2014), Il capocella (2017).