È strano leggerlo in spagnolo. Ma questa è la storia di un intreccio particolare, quella tra un uomo di Buenos Aires ed un piccolo paese della Calabria diventato famoso in Italia e nel mondo grazie al proprio sindaco, Mimmo Lucano.
Il regista, Damián Olivito, nipote di migranti italiani in Argentina, torna in Calabria in un viaggio alla riscoperta delle proprie radici e del passato della sua famiglia. In questo piccolo paesino del sud Italia, chiamato Riace, trova suo cugino, Domenico, proprio Mimmo Lucano. Nel 2012, in occasione di un festival del cinema organizzato proprio a Riace, Damián fa ritorno al pueblo, dove Mimmo Lucano stava portando avanti un progetto sui rifugiati e migranti, soprattutto provenienti da Africa e Medio Oriente. “Volevo fare una fiction ma a poco a poco nacque la voglia di fare un documentario che parlasse della migrazione riacese in Argentina e il messaggio che Riace stava dando al mondo: la necessità di una nuova umanità”.
“Città futura”, l’associazione creata da Domenico Lucano insieme ad altri colleghi, si basa su un programma che permette l’integrazione dei migranti nella vita del paese, soprattutto attraverso laboratori artigianali, dove i migranti lavorano a stretto contatto con le personale locali, apprendendo mestieri che in buona parte del paese stanno ormai scomparendo. Una delle protagoniste del documentario, Isa, oltre a lavorare come badante per un’anziana signora del luogo, partecipa ai laboratori di ceramica con il sogno, un giorno, di tornare nel proprio paese, l’Etiopia, e dar vita ad una scuola di ceramica. Proprio una di queste ceramiche è stata regalata al regista: un quadretto azzurro con dei bambini che stringono un aquilone, con scritto: Il cielo sopra Riace, che ha poi ispirato il titolo del documentario.
Siamo sempre gli stranieri di qualcuno. El cielo sobre Riace ci racconta proprio questo. Questa storia di migrazione diventa universale, non parla solo di Italia, Argentina, Kurdistan, Iraq. Un modello d’accoglienza che ha saputo sfruttare il vuoto lasciato dall’emigrazione italiana del secolo scorso come occasione per integrare i rifugiati in arrivo sulle coste di Riace e dare nuova vita ad un comune quasi abbandonato, risollevando anche la sua economia.
“Non ci può essere indifferenza per gli esseri umani. Non ci si può voltare dall’altra parte. Noi siamo popolo ricevente ma abbiamo un vantaggio: l’informazione, sappiamo quindi se i territori di provenienza sono territori in cui ci sono guerre, guerre civili, sono territori che ancora oggi subiscono lo sfruttamento da parte di realtà occidentali ricche ed opulente.” Queste le parole di Francesco Candia, sindaco di Stigliano, che ha aderito insieme a Riace alla Rete dei Comuni Solidali.
Attraverso interviste e legami tra due Sud del mondo, Italia ed Argentina, il regista tesse una linea di continuità tra l’emigrazione italiana del secolo scorso e le migrazioni di oggi.
Un tratto comune si riesce a trovare: la sensibilità umana. L’esperienza del paese della Calabria ha assunto in pochi anni una dimensione internazionale, come dovrebbero essere le migrazioni: di interesse internazionale. A differenza degli ultimi avvenimenti in materia di accoglienza, come il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo approvato dalla Commissione Europea, che al suo interno rinforza le procedure di controllo alle frontiere e rimpatrio abbreviato, l’intreccio e la commistione culturale diventano invece nel Cielo sobre Riace motivo di arricchimento e di re-inventiva. Alla fine del documentario viene raccontato il viaggio di Mimmo Lucano in Argentina nel 2017. L’ex sindaco di Riace fu infatti invitato a Buenos Aires dal governo argentino per partecipare al Forum mondiale “Dialogos Globales”, dove parlò del “modello Riace”. Questo viaggio è stato per lui anche occasione di reincontro e riunione con gli emigrati di Riace arrivati in Argentina. “I nostri migranti sono andati via ma sono arrivati altri esseri umani. Con lo stesso volto, gli stessi occhi, la stessa umanità”.
Un documentario che racconta senza retorica un nuovo modello di integrazione, semplicemente attraverso il reciproco arricchimento ed accoglienza del diverso, ricordandoci che, come diceva Luciano de Crescenzo in Così parlò Bellavista, “siamo sempre i meridionali di qualcuno”.