Ormai l’ipocrisia domina la politica e il costume del nostro Paese. Il senatore Nicola Morra – presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere – ha avuto il torto di commentare con una tirata di orecchie agli elettori calabresi il recente arresto del presidente dell’Assemblea regionale calabra, Domenico Tallini, indagato per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso. In particolare l’aver citato tra le scelte superficiali della maggioranza dell’elettorato calabrese anche l’elezione di Jole Santelli, presidente della Regione deceduta da qualche settimana per un male incurabile di cui, secondo Morra, tutti erano a conoscenza, ha scandalizzato la politica, l’informazione e l’opinione pubblica. Non sono bastate le scuse del Senatore ai parenti della Santelli e ai calabresi per le espressioni da lui usate a placare la valanga di critiche nei suoi confronti
Gli esponenti delle destre hanno addirittura invocato le sue dimissioni dalla presidenza della Commissione. Critiche aspre sono giunte da Calenda e, pur se meno virulente, da alcuni esponenti di rilievo del PD mentre gli stessi vertici dei 5 Stelle hanno preso timidamente le distanze dall’episodio. Al momento però sembra che nessuno si sia ancora chiesto se le affermazioni di Morra abbiano un concreto radicamento nella realtà o se almeno vi si avvicinino.
Proprio la richiesta di dimissioni dovrebbe far riflettere i vertici dei 5 Stelle e del PD. L’uscita, certamente infelice e irrispettosa nei confronti della defunta Presidente della Calabria, non può far dimenticare la serietà e la riservatezza con cui Morra si era sin qui mosso nel trattare il fenomeno mafioso e le sue implicazioni politiche. In un Paese nel quale non si chiedono le dimissioni di chi è indagato e neppure di chi è condannato in appello perché la presunzione di innocenza vige fino alla condanna nel terzo grado di giudizio, la cosa non ha minimamente scosso né il PD né i 5 Stelle.
Eppure Nicola Morra, per molti anni insegnante di storia e filosofia in diversi licei calabresi, non è l’ultimo arrivato quanto a conoscenza di certi usi e costumi locali, poi esportati con successo anche nel nord Italia ed in alcuni paesi europei, come tutti sanno. In una intervista rilasciata a Repubblica il 21 novembre Morra ha avuto modo di segnalare la sua totale adesione a quanto va dicendo e facendo il procuratore antimafia Gratteri. Calabrese doc, questo ruvido servitore dello Stato ha costruito con anni di indagini il maxi processo alla ‘ndrangheta, che dovrebbe iniziare il mese entrante a Catanzaro. Vive sotto scorta da oltre vent’anni e, come tutti i magistrati “testardi” che lo hanno preceduto, come Falcone e Borsellino, non è molto gradito ai politici. È certo infatti che in un momento di “distrazione” Renzi, incaricato di formare il governo, lo aveva proposto alla Giustizia nella lista dei ministri presentata a Napolitano: non se ne fece niente e non sappiamo per quale misterioso veto. Così come poco gradito alla politica fu un altro calabrese integerrimo, il compianto Stefano Rodotà, che in un paese serio sarebbe diventato presidente della repubblica dopo il settennato di Napolitano. Fortuna che poi alle successive presidenziali lo stesso Renzi, in un altro momento di “distrazione”, abbia proposto con successo Sergio Mattarella: un Renzi più “distratto” sarebbe potuto essere un premier meno disastroso.
Morra, che è rigoroso pur senza essere calabrese, si è reso inviso soprattutto ai politici di destra capeggiati da Salvini il quale, convocato più volte a riferire in Commissione come persona informata dei fatti, non si è mai degnato neppure di rispondere, né da ministro dell’interno né da senatore. Ma è facile immaginare, osservando la colorazione politica (non quella epidemiologica, per carità, ma forse anche quella: strane coincidenze), quali partiti possano temere la presenza di un politico onesto ed efficiente nella Commissione antimafia.
Come se non bastasse la virulenta aggressione politica nei riguardi di Morra, anche l’informazione, sia quella più compiacente che quella che rivendica l’autonomia dalla politica, ha infierito su Morra, vittima tra l’altro di un grave torto consumato dalla dirigenza della Rai che, per eccesso di zelo, ha annullato, dopo l’infausta dichiarazione, la sua apparizione televisiva già programmata esercitando di fatto una censura preventiva.
Ma, aldilà dei singoli episodi che hanno caratterizzato la vicenda, resta il fatto che nessun dibattito si è aperto nel merito della questione da lui sollevata. È vero o non è vero che il voto di una rilevante parte di calabresi è condizionato dalla ‘ndrangheta? I calabresi si sono forse offesi perché ritengono che la criminalità organizzata condizioni anche gli elettori di altre regioni, Val d’Aosta compresa? Sono o non sono qualificati a parlarne personaggi informati quali il Procuratore antimafia e il Presidente della Commissione antimafia? Perché le emittenti televisive considerano un tabù approfondire questo argomento? Sono consapevoli che il mancato esame nel merito di una tanto criticata dichiarazione favorisce chi può avvantaggiarsi dall’eventuale rimozione di Morra? La risposta è abbastanza chiara e la si può leggere nell’indignazione manifestata da tutta la destra, protesa a sollevare polveroni per nascondere nelle nebbie della confusione tutte le inchieste, le indagini della magistratura, non solo in Calabria, e giunta infine alla decisione di disertare le sedute della Commissione antimafia paralizzandone di fatto l’attività.
Ma ciò che sorprende è la posizione della sinistra e dei 5 Stelle che supinamente accettano questo apparente disinteresse per l’argomento e non reagiscono alla violenza degli attacchi della destra nei riguardi di Morra. A voler cercare una spiegazione a questa posizione rinunciataria, si può pensare che nessuno vuole lo scontro. Ammesso e non concesso che in questo momento sarebbe rischioso smuovere le acque della politica, resta l’atteggiamento della sinistra, volutamente ipocrita nella migliore delle ipotesi o acquiescente nella peggiore. Ma fin quando la sinistra non avrà il coraggio di distinguersi dalla destra in simili circostanze, la gente continuerà a pensare che sinistra e destra siano la stessa cosa. E così non vanno avanti né la sinistra né il Paese.
Vorrei averlo scritto io. Articolo impeccabile. Spero che molti ci facciano una riflessione
Il problema è che in Italia la forma prevale sempre sul contenuto, si dicono cose giuste ma in maniera sbagliata. Altrimenti non ci spiegheremmo clamorose scarcerazioni di mafiosi incalliti ad opera della Cassazione, grazie a cavilli da “Azzeccagarbugli”, o i farraginosi dispositivi dei TAR e del Consiglio di Stato nell’ambito della giustizia amministrativa. Però certe persone che hanno responsabilità politiche dovrebbero soppesare le parole prima di pronunciarle; oggi, con stampa, televisioni, internet e social, è facile essere impallinati da qualcuno e difficilmente poi si riesce a venirne fuori con il classico “sono stato frainteso”.