Napoli celebra il Festival del Cinema dei diritti umani nell’anno in cui forse si sente maggiormente il bisogno di accendere i riflettori sugli ultimi della società. Il 17 novembre è iniziata così la XII edizione del festival che quest’anno si intitola: “Diritti in ginocchio – Pandemia, Sovranismi e Nuove discriminazioni”, dedicato alla memoria di Mario Paciolla, il giovane cooperante napoletano ucciso in Colombia mentre portava a termine una missione di pace con le Nazioni Unite. Il Festival, che terminerà il 28 novembre, avrebbe bisogno di molto altro tempo per sviluppare i tanti temi da approfondire: pandemia, diritti negati, migrazioni, diritti dei lavoratori, povertà, diritti delle donne e tanto altro. Un successo preannunciato dalla grande partecipazione internazionale, con più di 186 opere e autori provenienti da più di 40 nazioni. Da Napoli dunque si mette in marcia il Festival che seppur online non smette di dar spazio a tanti giovani, con l’intelligenza di non vantarsi di nomi stellari piuttosto con il pragmatismo di chi rende l’arte e la cultura uno strumento per il sociale piuttosto che un banale vanto. Napoli dunque “capitale dei diritti umani” così come l’ha definita il coordinatore del Festival, Maurizio del Bufalo.
Il pomeriggio del 18 novembre prima di arrivare virtualmente in Palestina per intervistare le registe donne, si è parlato di America Latina in una simpatica versione bilingue spagnolo-italiano. “Continuità della violenza e della resistenza”, soffermandosi soprattutto su Argentina e Cile, è il titolo dedicato alla regione latinoamericana. La prof.ssa Valentina Ripa ha presentato i tanti personaggi intervenuti, tra tutti: Liliana Garcia Sosa, attivista e attrice teatrale che ha vissuto la dittatura cilena di Pinochet, Valentìn Javier Diment, regista argentino, Rodrigo Dìaz, direttore artistico cileno, e Alvaro de la Barra, produttore cileno-venezuelano che lavora attualmente come cineasta in Cile. Il cinema dei diritti umani ha profonde radici latinoamericane, un continente che soffre i ricordi delle dittature recenti, che hanno però lasciato tante crepe e strascichi nelle società attuali, il tutto raccontato in una città come Napoli che ha tante somiglianze con le metropoli oltreoceano.
Il Festival del Cinema dei diritti umani racconta anche il lavoro e il coraggio di chi produce opere in situazioni di grande difficoltà, proiettando sul grande schermo i disagi del presente. Maurizio del Bufalo infatti in un suo intervento ha chiarito come la scelta del festival sia di celebrare il cinema come “rappresentazione della voce degli ultimi, la voce della protesta”. Un tipo di cinema che forse in Italia è stato abbandonato, e che trovava nei suoi ultimi sussulti le testimonianze di Gian Maria Volonté, che raccontava i dolori del mondo attraverso il cinema. Una celebrazione del cinema politico italiano che si spera possa riaffermarsi nuovamente in un quadro storico e sociale così spaesante. Le atrocità delle dittature recenti in Cile e Argentina attraverso la voce o addirittura le testimonianze degli ospiti sono dunque un monito verso le grandi tragedie attuali, e come l’arte e dunque il cinema possano essere un megafono per riportare l’attenzione della politica verso gli “ultimi”. Sono proprio però le parole di Alvaro de la Barra sullo scoppio dell’estallido social in Cile, con la sua testimonianza, che ci fanno capire quanto la storia possa essere ciclica, soprattutto vedendo le immagini di Santiago di quest’anno, con i militari per le strade. Un messaggio per far capire che non bisogna mai abbassare la guardia e tutelare i diritti umani con continuità, per non rivivere le ingiustizie di ieri. Insomma al festival napoletano il cinema è strumento utile per ricordare che il mondo ha ancora tanta strada da fare per affermare e tutelare i diritti umani.