Continua la polemica sulle infelici parole del presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, circa l’isolamento degli anziani. Emendata delle infelici espressioni adottate, l’ipotesi ventilata merita un approfondimento improntato al semplice buon senso. Nei contributi, anche autorevoli, alla discussione sembra infatti mancare l’analisi dei vantaggi che l’eventuale isolamento degli anziani produrrebbe. Anche l’omaggio affettuoso a Gigi Proietti, rivolto su queste pagine da Giuseppe Capuano, si limita a una istintiva difesa degli anziani.
Eppure i vantaggi dell’isolamento sarebbero tanti. Sarebbe innanzitutto salvaguardata la salute e, nei casi estremi, la vita degli stessi anziani isolati. Ne trarrebbe vantaggio anche il sistema sanitario ed in particolare la capacità ospedaliera di ricovero. Il resto della popolazione potrebbe muoversi molto più liberamente e, mantenendo le prescritte cautele personali, riprendere a svolgere le proprie abituali attività con limitazioni tollerabili. Le scuole, dalla materna alle superiori, potrebbero riaprire i battenti.
Ma a beneficiarne sarebbe soprattutto l’economia alla quale gli anziani, essendo per motivi anagrafici ormai estranei ad ogni attività produttiva, partecipano solo in veste di consumatori, funzione che continuerebbero a svolgere anche se isolati. Fanno ancora parte del ciclo produttivo gli anziani impegnati in attività commerciali o artigianali a conduzione familiare. E per questi ultimi è lecito supporre, ad esempio, che in una pizzeria dove il nonno siede abitualmente alla cassa, i suoi nipoti siano in grado di sostituirlo agevolmente. Resta il caso dei vecchietti soli al mondo, e tra loro dei clochard e dei diseredati in generale: di questa sparuta (ma non tanto) compagine dovrebbe farsi carico l’assistenza pubblica, e non solo durante le epidemie.
Assicurando l’istruzione e buona parte delle attività industriali, commerciali, culturali e turistiche cadrebbe gran parte delle polemiche che la loro gestione nella crisi pandemica ha suscitato ed anche questo non è un vantaggio da poco. Il mantenimento di un livello produttivo accettabile permetterebbe infine di alleggerire notevolmente l’indebitamento pubblico senza precedenti che si viene delineando.
L’ampio ventaglio di questi innegabili benefici lascia dunque pensare che il fulcro del dibattito riguardi il sacrificio richiesto agli anziani e le libertà costituzionali. Sul primo punto non c’è molto da dire: isolare per un periodo limitato ed anche nel loro stesso interesse i soggetti più fragili non è irriguardoso nei loro confronti. L’isolamento degli anziani non sarebbe un 41 bis: in una qualche misura gli anziani si sono già auto-isolati volontariamente sacrificando le privazioni affettive sull’altare della sicurezza. Se si volessero adottare provvedimenti più restrittivi, bisognerebbe ovviamente prevedere interventi assistenziali volti ad assicurare agli anziani isolati i generi di consumo e l’igiene personale, nel caso in cui non possano provvedervi i parenti. Se un problema oggettivo esiste, è quello della difficoltà di isolare un anziano che vive in famiglia in un alloggio poco spazioso, nel qual caso bisognerebbe immaginare soluzioni alternative (che non vorrebbe mai dire sistemare il nonno in cantina, ma semmai affidarlo ad una struttura pubblica idonea).
In linea di massima quindi la restrizione inflitta agli anziani con l’isolamento sarebbe tollerabile e non lesiva della loro dignità: non risulterebbe compromessa la loro funzione di supporto finanziario a figli e nipoti, mentre l’unico vero sacrificio sarebbe la mancanza del contatto fisico non protetto con loro, che non è poca cosa.
Né si ravvisano strappi al dettato costituzionale: anche questa misura, come le altre già poste in essere, sarebbe giustificata dalla proclamazione dello stato di emergenza che, com’è evidente, o vale per tutti i provvedimenti restrittivi della libertà o per nessuno. Se poi si vuole sostenere che l’isolamento riguardante i soli anziani è discriminatorio perché distingue i cittadini in base all’età anagrafica, bisognerà ricordare che non sarebbe né il primo né l’ultimo caso: la stessa emergenza Covid comporta oggi discriminazioni tra chi vive nella zona rossa e quelli che vivono in zone diversamente colorate, tanto per fare uno dei possibili esempi. E chi obietterebbe ad un eventuale isolamento delle persone affette da malattie croniche gravi?
Escluse le ragioni di ordine sociale e giuridico resta invece, ed è comprensibile, il senso di esclusione, di abbandono che potrebbe deprimere seriamente alcuni anziani. Se il quadro appena tracciato sembra tenere nella giusta considerazione tutti gli elementi della questione, appare invece eccessiva la retorica, molto diffusa, che vede negli anziani un prezioso patrimonio da proteggere.
I nostri anziani (ne faccio parte anch’io) hanno alle spalle un settantennio di pace ed almeno un trentennio di grande sviluppo economico e sociale. Molti di loro hanno avuto un’istruzione buona se non ottima, hanno trovato lavoro già intorno ai vent’anni e dalla metà degli anni 50 godono di assistenza sanitaria gratuita. Hanno infine conseguito un trattamento pensionistico ragionevole, spesso superiore ai contributi versati e molto spesso maturato ben prima dei quarant’anni di lavoro. È vero che hanno assicurato ai figli un certo benessere (e ci mancherebbe solo che se ne fossero dimenticati!) e che magari oggi li aiutano se in difficoltà, ma il prezzo è un debito pubblico strutturale che, già prima della pandemia, rendeva difficile immaginare posti di lavoro ben retribuiti per tutti, per non parlare di una pensione decente che ai giovani appare come un miraggio. E se un problema, anche morale, esiste, riguarda le nuove generazioni, alle quali gli anziani consegnano un futuro neanche lontanamente confrontabile con quello da loro ereditato quando erano giovani. Il benessere che ha accompagnato la vita di gran parte dei settantenni ha avuto infatti un costo elevato anche in termini di sfruttamento irreversibile delle risorse naturali. E quindi cosa lasciano in eredità a figli e nipoti? Un territorio dissestato dall’incuria e dagli abusi, un debito pubblico che dopo la pandemia sarà immenso, una colossale evasione fiscale mai combattuta seriamente, una scuola decaduta al livello più basso mai toccato, una disoccupazione crescente con prospettive sempre più cupe, un clima politico mefitico da basso impero, Questo per quanto riguarda specificamente il nostro Paese che, malgrado tutto, continuiamo ad amare.
Se poi guardiamo all’intero pianeta, l’eredità non è molto diversa, minacciato com’è da un inquinamento irreversibile e da una mutazione climatica epocale che annuncia cataclismi. E l’imbarbarimento della politica non lascia intravedere quella collaborazione internazionale che potrebbe invertire o almeno rallentare i fenomeni in atto, anzi tutt’altro: la politica attuale preoccupa per l’aggressività crescente di quasi tutti gli stati che ne sono protagonisti.
Quindi a chi vede tuttora gli anziani come depositari di saggezza, di conoscenze da trasmettere e di altre qualità da preservare bisogna dire preliminarmente che l’isolamento salverebbe qualche anziano in più ed un pezzetto di quel patrimonio di esperienze che ciascuno di loro porta con sé. Dopodiché domandiamoci se gli attuali anziani siano realmente portatori dei valori di cui gli si dà credito. I settantacinquenni di oggi sono i baby boomers e cioè quella generazione che vide la luce subito dopo l’ultimo conflitto mondiale, che, come abbiamo già ricordato, ha galleggiato sul sistema politico, economico e sociale senza riuscire a migliorarlo anzi peggiorandolo. Ciò non vuol dire che questi anziani non meritino rispetto e considerazione, ma i valori irrinunciabili erano patrimonio della generazione precedente, che aveva combattuto il nazifascismo e che aveva visto e patito la guerra, subendone le distruzioni e le miserie anche se divisa tra vincitori e vinti. Quella generazione ormai non c’è più e sono in vita ben pochi di coloro che ne hanno conservato e coltivato la memoria. E dunque la levata di scudi di alcuni stimati commentatori in favore degli anziani in quanto custodi di sacri valori appare più che altro una difesa d’ufficio o un nostalgico sguardo al passato.