Crisi sanitaria in Campania: le nostre responsabilità

tempo di lettura: 4 minuti
Chiacchiericcio (Foto Archivio G. Capuano)

Meno male che da noi il virus non si è diffuso perché, con il nostro sistema sanitario, i morti sarebbero stati molti di più di quelli in Lombardia”. Era questa la frase puntualmente pronunciata dai cittadini campani, dal più colto al più ignorante, dal ricco al povero. Questo nella prima ondata di diffusione del Covid.

Per questo, anche se in molti erano consapevoli che quelle di De Luca erano vere e proprie esibizioni sceniche, se non peggio, il suo polso duro, le sue minacce verbali hanno rassicurato, nei lunghi mesi del lockdown, perché almeno riuscivano a limitarne la diffusione. Poi c’è stata l’estate e in seguito … le elezioni.

Quanto sta accadendo, l’estremo tentativo del Governo di evitare la chiusura di tutto il Paese, sta ancora una volta evidenziando che la frammentazione del sistema sanitario in venti diversi sottosistemi non regge più. Aver consentito alle Regioni di regolare in modo diverso la distribuzione territoriale dell’assistenza sanitaria, aver privilegiato solo gli aspetti contabili e amministrativi, i tagli, nella valutazione dei sistemi sanitari, stanno determinando la grande confusione di questi giorni. Il problema, a nostro avviso, non è che il modello, la griglia di riferimento nazionale, non funzioni in astratto, non funziona perché per ogni singola voce, per ogni dato richiesto, bisognerebbe chiedere delle specifiche per ogni regione. Un esempio per tutti. Le RSA, le residenze sanitarie per anziani, non sono attrezzate nello stesso modo in tutta Italia. In Campania, per esempio, molte residenze per anziani di “sanitario” hanno ben poco, assomigliano più ai vecchi ospizi, sono luoghi dove le famiglie, per necessità, accompagnano gli anziani non autosufficienti, ma non sono attrezzate anche con quel minimo necessario in caso la condizione di salute dell’anziano richieda la somministrazione di ossigeno o di altre cure. Di solito, in caso di necessità si chiama il 118 e si passa subito all’ospedalizzazione.

Prima della campagna elettorale, quando bisognava scegliere il candidato, alcune voci, a destra al centro e a sinistra, compresa la CGIL, hanno provato a ricordare le tante falle, la gestione fallimentare del sistema sanitario di De Luca e del suo gruppo di potere, ma sono state isolate, quasi beffeggiate. Lo sceriffo ci aveva salvato e andava premiato.

La peggiore responsabilità è però di quelle forze politiche, prima di tutto il Partito Democratico, nazionale e regionale, che subodorando che il presidente uscente godeva di un ampio consenso tra gli elettori, hanno subito desistito dal cercare un’alternativa. La stessa CGIL, che tanto si era battuta contro la sua gestione proprio della sanità, pubblica e privata, alla fine ha capitolato ricandidando suoi esponenti nelle fila del PD che lo sosteneva. E le nostre responsabilità, quelle della stragrande maggioranza degli elettori campani? Averlo rieletto. Diciamo nostre perché anche chi, come noi, non l’ha votato, poco ha fatto per cercare di smascherarlo imprigionati dalla solita litania che non c’erano alternative.

Il caso Campania, ma forse anche quello della Calabria e di altre realtà, ripropone con forza una riflessione sui nodi irrisolti della democrazia e del sistema politico italiano. L’elettore, il cittadino, è sovrano, è scritto nella Costituzione. Le scelte sono insindacabili. Un Parlamento, un Consiglio Regionale, un Presidente di regione, regolarmente eletti, ha il diritto e il dovere di espletare il mandato affidatogli dagli elettori. La stessa Costituzione, che per nostra fortuna è stata scritta da uomini di grande sapienza giuridica, politico-istituzionale e filosofico-morale, affidava ai partiti un ruolo essenziale di formazione e selezione di una classe dirigente. Al contempo ha definito una serie di meccanismi per consentire ai diversi gruppi sociali di interagire, di formare e selezionare anch’essi, gruppi dirigenti in grado di governare il Paese perseguendo non solo obiettivi “di parte”, ma nell’interesse generale.

Tutto ciò è ormai un ricordo lontano e da tre decenni, dalla caduta del muro di Berlino (1989) e poi per le magagne scoperte con l’inchiesta Mani pulite (1992), che ha scoperchiato il vaso di tangentopoli, in Italia non esiste più un reale meccanismo selettivo, un luogo di formazione politico-istituzionale in grado di produrre una nuova classe dirigente. Le università, grazie anche agli errori di valutazione del centro sinistra che voleva ridimensionarne il ruolo di casta fuori da ogni controllo, si sono trasformate in luoghi dove regnano i potentati locali, a mo’ dei signorotti medievali. Così capita che un ex rettore dell’ateneo “Federico II” di Napoli da candidato del centro sinistra alla guida della regione passi a fare l’assessore per un presidente eletto dal centro destra e che oggi appare nelle tv locali a commentare i risultati calcistici; che il rettore dell’università di Salerno si faccia ammaliare dalle promesse della Lega di Salvini e si candidi in quella lista per il Parlamento Europeo (fortunatamente per noi non venendo eletto). Le Pubbliche Amministrazioni, i loro dirigenti, sono stati asserviti al potere politico con il sistema dello spoil system introdotto dalle riforme di Bassanini (ancora il centro sinistra) e assistiamo, nel migliore dei casi, a dirigenti che amministrano onestamente ma “al minimo” delle loro potenzialità per non disturbare il politico di riferimento o qualche giudice amministrativo, civile o penale.

A questo si aggiunga l’ignoranza, la pigrizia, l’egoismo, la ricerca solo di favori personali, da parte degli elettori che, rassicurati dalla segretezza del voto, scelgono ciò che più conviene, chi risulta più furbo e simpatico anche se sa che quel politico è solo un grande imbonitore, e la frittata è fatta.

Che fare? La domanda di sempre. È necessario ricostruire un sistema politico istituzionale intermedio in grado di convogliare le istanze dei cittadini, degli operatori economici e sociali verso una sintesi superiore, politica. Sarà per un personale “vizio di origine”, ma noi siamo convinti che un ruolo essenziale possano e debbano svolgerlo le organizzazioni sindacali reinventandosi, magari perdendo parte del proprio potere lobbistico ed elitario ma riconquistando consenso e ruolo politico generale. Un percorso lungo e difficile ma nulla potrà giungere a compimento se non inizia. E questo è il momento per iniziare.  

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto