L’uomo è l’animale sociale per eccellenza, dotato di una ragione che fa di questo privilegio il fondamento della cooperazione, che è alla base della sopravvivenza della specie. Grazie alla cooperazione e alla comunicazione il suo progresso come specie è stato inarrestabile. Basta pensare che il 70% del tempo lo impieghiamo in relazioni sociali ed esperienze personali. Lo stesso linguaggio si è evoluto nel contesto di formazione di relazioni sociali ed ha rappresentato un ulteriore salto in avanti nel miglioramento delle condizioni umane. Le conversazioni ci permettono di scambiare informazioni su persone che non sono presenti, di insegnare ad altri come comportarsi con persone che non hanno mai incontrato prima, di scambiare informazioni di carattere culturale per la diffusione della conoscenza e tanto altro, consentendoci di espandere una rete di connessioni sociali importanti per il mantenimento del progresso e il benessere psicofisico di ognuno di noi.
A tal proposito voglio ricordare il caso di un paesino della provincia di Foggia, Roseto Valfortore, i cui abitanti a partire dal 1882 cominciarono ad emigrare verso la terra delle opportunità, l’America, fino a costruire in Pennsylvania una piccola città cui diedero il nome di Roseto. Alla fine degli anni Cinquanta un medico si accorse che non c’era un abitante con meno di 65 anni che presentava disturbi cardiaci, mentre le cardiopatie rappresentavano la prima causa di morte negli USA. In generale il tasso di mortalità dei rosetani per cause di ogni genere era inferiore del 30-35% rispetto alla media nazionale. Non c’erano suicidi, né traccia di alcolismo e i reati erano pochissimi. Insomma a Roseto si moriva di vecchiaia. Sulle prime un gruppo di studiosi incaricati dalle migliori università degli States pensò alla dieta mediterranea (con l’olio di oliva come condimento), ma si scoprì che cucinavano con lardo, avevano una dieta con prevalenza di grassi (41%), erano sedentari e molti anche obesi… Insomma c’erano tutte le condizioni classiche per le vasculopatie cardiache e cerebrali. Anche la genetica e le condizioni climatiche non chiarirono l’enigma. Alla fine ci si convinse che la chiave della salute mantenuta per così tanto tempo era l’alto tasso di socializzazione e solidarietà che i rosetani avevano importato dalla loro comunità italiana. Gli abitanti del paesino si conoscevano tutti, (erano circa 2.000), le visite, gli incontri e le chiacchiere per strada erano quotidiani e frequenti, le famiglie numerose (sotto lo stesso tetto a volte vivevano fino a tre generazioni!). Questa struttura sociale forte e protettiva li aveva salvaguardati dalle pressioni del mondo esterno e dalle conseguenti patologie. Quindi si fece strada un nuovo concetto di salute in termini di comunità.
Citando questo caso la mente non può che andare agli effetti a medio-lungo termine della pandemia che stiamo vivendo e che, privandoci di questo mantello protettivo accrescerà nel tempo le ansie, le paure e le insicurezze che già ora sono le presenze quotidiane che generano irrequietezza e sconforto per la crisi economica e l’equilibrio psicofisico. Col costante aumento dei contagi autunnali si riparla di chiusure e isolamento, giustamente perché ad oggi sono le uniche misure che possiamo opporre al virus. E giustamente si rimarca l’aspetto economico, perché la vita pubblica dipende dalla politica, che ne dà l’indirizzo e le finalità. Una politica infatti ha successo se dà sicurezza economica e stabilità sociale, ma dimentica spesso che questo secondo aspetto dipende anche dalla stabilità individuale intesa come equilibrio psicofisico… E la nostra specie trae questa stabilità dai benefici delle relazioni sociali: gli scopi congiunti, la collaborazione e anche le semplici interazioni fatte di chiacchiere e pettegolezzi. È risaputo che la solitudine conseguente agli stati depressivi abbassa fortemente le difese immunitarie, unico baluardo fisiologico contro lo sviluppo dei tumori. Le pressioni del mondo esterno, fatte di competitività, attriti, preoccupazioni per il lavoro, la carriera e i figli, trovano una modulazione e uno sfogo nelle abilità sociali che nascono dall’interazione, rendendo meno aggressivi i suoi effetti sulla salute.
Concludendo quindi è auspicabile che i nostri governanti tengano ben presente anche questo aspetto delle chiusure che si prospettano, senza enfatizzare come rimedio definitivo e futuro soluzioni, certamente utili in questa fase, come lo smart working, che però non fanno che accrescere, attraverso il distanziamento, quella solitudine cui si è accennato, perché recarsi sul posto di lavoro, con un percorso, incontrare amici e colleghi e fermarsi insieme per un aperitivo o una pausa pranzo, parlare di lavoro, della famiglia o delle vacanze è il miglior viatico per un benessere psicofisico duraturo.
I rosetani sarebbero tutti positivi!