Un antidoto contro i profeti di sventura

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La seconda fase della pandemia da Covid-19, che stiamo subendo in queste settimane, suscita molta preoccupazione, in alcuni vere e proprie fobie. Altri, fortunatamente pochi, stanno vivendo questo periodo come un “segno” dell’imminente giudizio divino contro l’umanità peccatrice; una siffatta convinzione genera in questi “profeti di sventura” una specie di entusiasmo misticheggiante. Solo l’ignoranza della storia delle epidemie può giustificare un entusiasmo del genere. Infatti, basti pensare alla “morte nera”, la terribile pestilenza che a varie ondate seminò la morte nel quattordicesimo secolo, che nella sola Europa mieté da 25 a 40 milioni di morti soltanto nella prima fase (dal 1347 al 1350). La conoscenza di quel periodo si deve principalmente all’opera della storica Barbara W. Tuchman (in un ponderoso volume del 1978, ora finalmente tradotto in italiano per i tipi di Neri Pozza col titolo “Uno specchio lontano”, pp. 800, € 23), la quale ci ha fatto conoscere il Trecento come epoca in cui il sistema feudale, ormai obsoleto, cominciò a scomparire.

È una costante del pensiero umano vivere i problemi del proprio tempo come se questi fossero unici, al di sopra di ogni possibilità di confronto con quelli di altre epoche storiche; infatti, mentre le sofferenze del presente appaiono in tutta la loro terribile evidenza, quelle del passato o sono ignorate o perdono, col passar del tempo, la loro tragicità. Al riguardo, ci sovviene proprio quella che è divenuta nota come “legge di Tuchman”, la quale recita: per il solo fatto di essere riportato, un evento nefasto moltiplica la sua portata apparente da cinque a dieci volte. Perciò, la diffusa ignoranza del passato spiega come si possano udire, provenienti pure da fonti autorevoli, dichiarazioni sensazionalistiche riguardo all’unicità della pandemia che stiamo vivendo. Il linguaggio delle cifre non presta il fianco a interpretazioni personali: per esempio, facendo le debite proporzioni, la cosiddetta “influenza spagnola” non fu la più grande né la più distruttiva epidemia della Storia, come emerge dal racconto della Tuchman. Siccome il numero delle vittime cresce in relazione all’aumento della popolazione mondiale, ogni approccio metodologico al problema, per essere scientificamente corretto, non può non tener conto di questo dato di fatto.

La Storia del genere umano è costellata da un’interminabile serie di crisi e catastrofi, sebbene le cassandre odierne tendano a sminuire la portata delle calamità del passato, ingigantendo quelle del nostro tempo. Barbara W. Tuchman ha scritto che “è rassicurante sapere che la specie umana ha vissuto periodi peggiori”; infatti la studiosa ha definito il Trecento “uno specchio lontano” facendoci scoprire quell’epoca, per certi versi così simile alla nostra: criminalità e paura, materialismo e pessimismo, angoscia e terrore caratterizzarono il Trecento proprio come il nostro tempo; i problemi odierni sono, molto più di quanto la gente pensi, una ripetizione di quelli del passato. E ciò ci consente di smentire quei “profeti di sventura” sempre pronti a decretare la fine di un mondo, dimenticando che i progressi della medicina e della tecnologia, anche se non hanno potuto scongiurare il ripetersi di antiche sofferenze, hanno notevolmente contribuito a limitarne i danni.

2 commenti su “Un antidoto contro i profeti di sventura”

  1. elio mottola

    Chiaro e condivisibile come sempre. Sulla fiducia, perchè il volume della Tuchman, 800 pagine che parlano di pestilenze ed epidemie in generale, non credo sia digeribile

    1. Achille Aveta

      Eppure il testo della Tuchman è un raro esempio di godibile storia sociale, che parla pure dei cambiamenti sociali – materiali e spirituali – del Trecento; il lettore ci troverà non poche analogie col presente: crisi economiche, proteste populiste, la paura dell’Islam e l’isolamento della Gran Bretagna.

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