La Storia preferisce raccontarci guerre sanguinose piuttosto che “noiosi” periodi di pace. Gli eventi bellici sono decisamente più “stimolanti” ed ancor più lo sono i massacri, gli eccidi e tutto quanto arricchisce la guerra di comportamenti bestiali o addirittura inauditi. Tragedie che si sono accettate per secoli come se fossero connaturate alle azioni belliche, come le atrocità perpetrate dai tartari e dalle orde barbariche nel corso delle loro invasioni. Anche le reazioni della civiltà cristiana furono spesso cruente. Goffredo di Buglione, “Difensore della Chiesa di Gerusalemme”, ha poco da invidiare a Tamerlano e Attila: le milizie da lui condotte nella prima Crociata resero Gerusalemme un lago di sangue, che Dio lo volesse o no.
E cosa dire degli eccidi sistematici di intere etnie in America e in Africa a cura della ricca ed evoluta Europa, che realizzava così il più iniquo sfruttamento delle loro risorse col pretesto di civilizzare e cristianizzare quelle che venivano considerate comunità tribali primitive? Stermini e devastazioni che la comunità internazionale allora dominata dai colonialisti considerava pienamente legittimi.
Solo i disastri della seconda guerra mondiale e la drammatica scoperta dell’Olocausto indussero la comunità internazionale a sanzionare le carneficine più gravi ed efferate che facevano impallidire quelle già condannate dai trattati e dalle convenzioni internazionali riguardanti più che altro il rispetto dei militari del campo avverso. Da questa tardiva presa di coscienza nacque il processo di Norimberga che nel 1947 sanzionò pesantemente, ma in maniera conforme al principio di umanità, escludendo cioè la pena capitale, i crimini commessi dagli ufficiali nazisti. Parallelamente il processo di Tokyo, riguardante però il pregresso massacro di Nanchino (300.000 vittime) risalente al 1937, colpiva alcuni dei responsabili condannandoli a morte. Vendicatività nipponica a parte, i due processi erano, anche se doverosi, un tantino parziali se si pensa alle atomiche sganciate nel 1945 dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki, che somigliavano anch’esse a un genocidio ma, ahinoi, commesso dai vincitori e quindi amnistiato in tempo reale dagli alleati. Terminato il conflitto mondiale, i massacri locali (si fa per dire, perché hanno spesso coinvolto intere nazioni e intere etnie) sono proseguiti sotto l’occhio vicendevolmente distratto dei principali azionisti della cosiddetta comunità (?) internazionale.
Solo nel 1993, a seguito delle atrocità che avevano abbrutito la vicina guerra in Jugoslavia, il Tribunale Penale Internazionale istituito dall’O.N.U. si attivò per condannarne i principali responsabili: è curioso osservare come l’Occidente si sensibilizzi solo quando interessato da vicino. D’altra parte è significativo che la Corte Penale Internazionale, creata a seguito dello Statuto di Roma del 1998 ed attiva a l’Aja dal 2002, non sia stata riconosciuta da Stati Uniti, Cina e Israele che evidentemente rivendicano una capacità di autocontrollo tutta da dimostrare.
Malgrado qualche timido passo avanti, perseguire i criminali di guerra resta dunque una pia illusione. Le responsabilità di chi i conflitti li ha provocati, con le sole eccezioni di Milosevich, deceduto prima della condanna e di Karadzich condannato all’ergastolo, rimangono estranee agli eccessi, quasi sempre scaricati sulla “mano militare”.
In linea generale i politici sono dunque sottratti alle responsabilità che sicuramente hanno nell’innescare i conflitti e spesso anche nel decidere la misura della ferocia da spendere, sia nei confronti dei nemici che dei civili. Gli unici rischi che corrono, peraltro solo in caso di disfatta, possono essere la mancata rielezione alla carica che ricoprivano, l’allontanamento dalla politica o, al limite, un confortevole esilio. Forse per questo oggi viene privilegiata l’eliminazione fisica, molto più pratica e gratificante per chi la esegue, come per Saddam Hussein e Gheddafi. Ai vincitori, come abbiamo visto, si perdona qualunque eccesso e anzi vengono loro tributati onori e gloria, come da antica tradizione.
Purtroppo questo comodo mantello di impunità copre anche quei crimini contro l’umanità che di guerra non sono perché commessi in tempo di pace Gli attuali capi di stato, che non hanno sottoscritto gli accordi di Tokyo o di Parigi per ridurre l’emissione dei gas serra, quanti morti hanno già sulla coscienza e quanti ancora ne avranno? E quelli che pur avendoli sottoscritti hanno continuato subdolamente ad infischiarsene pur assistendo al progressivo ed irreversibile scioglimento dei ghiacciai “eterni” che tali sarebbero rimasti, se il sistema produttivo avesse rispettato l’ambiente? E quelli che provocano o consentono la deforestazione? E quelli che volevano ridicolizzare il Covid-19 e si portano sulla coscienza decine e decine di migliaia di morti? Se a tutti questi “criminali di pace” dovesse andar male, cosa che non ci auguriamo solo per carità cristiana, al massimo perderanno le prossime elezioni se e quando si svolgeranno e sempreché non vengano truccate: sono infatti crimini di pace anche le dittature, che fanno un bel po’ di vittime pur in assenza della guerra.