I banchi della scuola sono tornati ad essere abitati da piccoli e grandi. Tagliati? con le rotelle? distanziati? sfalsati? Tanti sono stati gli interrogativi che si è posto il Ministero dell’Istruzione per far tornare i ragazzi a scuola in modo sicuro, o perlomeno, il meno pericoloso possibile. Eppure, nonostante la paura di molti, il rientro a scuola è un segnale di speranza. Ed ha una grande importanza.
Non potremo forse mai capire cosa ha significato e per certi versi continua a significare l’impossibilità di andare a scuola e studiare, a meno di non essere ragazzi di dodici anni durante una pandemia mondiale o vivere in Paesi martoriati da povertà e conflitti interni, che rendono impossibile la fruizione di un’educazione e di una scuola come noi la conosciamo. Eppure, la forza di volontà può essere più forte di qualsiasi cosa. Durante la pandemia, ha fatto scalpore la foto di centinaia di ragazze afgane sedute a terra in un grande campo (a due metri di distanza e con i dispositivi di protezione adeguati) per poter svolgere l’esame di ammissione all’università. E gli esempi potrebbero essere molteplici.
Se siamo onesti intellettualmente, dobbiamo fare i conti con la realtà: l’Italia è in Europa il Paese che meno investe in educazione pubblica rispetto al proprio PIL. Nel 2017 il nostro Paese investiva solo il 3,8% del proprio PIL nell’istruzione, ripetto al 4,6% della media europea (dati Eurostat).
L’Italia è lo stesso Paese che ha continuato a non aprire università e scuole per rischio contagio, mentre il resto delle attività ludiche, comprese discoteche e ristoranti, continuavano a funzionare. Moltissime sono le regioni, soprattutto del sud, in cui le percentuali di abbandono scolastico sono ancora altissime. Non solo, anche laddove si termini la scuola “dell’obbligo” conseguendo un diploma, dai più viene visto spesso come un mero foglio di carta.
Dovremmo interrogarci tutti sulla deriva culturale ed educativa verso cui sta andando il nostro Paese. Se solo ci soffermassimo a riflettere sull’importanza che l’educazione ha nella vita di un bambino e di qualsiasi essere umano, forse avremmo quantomeno il buongusto di non dare giudizi affrettati su cosa sia giusto o sbagliato fare in questo momento così delicato, poichè è davvero difficile operare nel rispetto della comunità e salvaguardare allo stesso tempo l’integrità psicofisica dei ragazzi. Il settore dell’istruzione, in particolare le università, sta entrando anch’esso nella logica del profitto. In inglese si usa un termine, marketization, che indica la “capitalizzazione del sapere”.
Le università diventano sempre più interessate a creare contatti e legami con aziende e partners per trovare una collocazione dei propri studenti nel mondo del lavoro, cosa più che giusta, se non fosse accompagnata da un laissez-faire dal punto di vista educativo, senza preoccuparsi eccessivamente di curare un aspetto fondamentale dal punto di vista formativo: coltivare lo spirito critico.
«Credo che il lockdown abbia fatto riscoprire a un Paese intero l’importanza della scuola. Dalla scuola ci passano tutti ed è nella scuola che si diventa cittadini»; queste sono state le parole della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina pochi giorni prima della riapertura delle scuole. E forse il problema è proprio questo. La privazione ci ha fatto rendere conto che, beh, forse la scuola contava qualcosa. Forse la solitudine e lo studio a distanza, privo di contatto umano e del senso di comunità, non è poi proprio il massimo, nonostante fosse in quel momento l’unica via percorribile.
Forse dovremmo interrogarci tutti sul ruolo dell’istruzione nella storia di un popolo e anche nella nostra storia personale. Quanti di noi ancora ricordano le poesie di Montale o i versi di Catullo? Lo studio del latino, tranne per i laureati in legge e medicina, forse non è stato fondamentale per diventare social media manager… o forse sì. Forse il latino ci ha dato una forma mentis, proprietà di linguaggio, forse quei versi di Catullo ci hanno insegnato qualcosa. Il problema reale che ci troviamo a combattere è che, mentre la società evolve e la tecnologia si impadronisce di ogni angolo della nostra vita, la scuola dal punto di vista formale compie dei passi in avanti: dispositivi informatici messi a disposizione degli alunni, ore di educazione civica, corsi di lingua sempre più avanzati, ma dal punto di vista sostanziale le risorse destinate alla scuola sono ancora insufficienti e soprattutto è il suo ruolo che dev’essere rivisto. Lungi dal voler essere blasfema, la scuola ha un che di sacro, così come un luogo di culto: a scuola si formano nuove generazioni, si ricopre il ruolo di insegnanti ma anche di educatori, si sviluppano ed interiorizzano comportamenti e prassi sociali importanti. Non si possono delegare alla scuola tutti i compiti di cui è manchevole la società; un professore non può diventare anche padre, consigliere, psicologo, amico. Ma sicuramente è tra quelle “quattro mura” che il bruco diventa farfalla. Ed è proprio la sostanza che quelle quattro mura contengono che le rende diverse dalle quattro mura di casa nostra, dove pure abbiamo seguito le lezioni durante il lockdown.
La scuola dunque è il fulcro dello sviluppo di un Paese e discriminante importante nell’indice di sviluppo di un popolo. La sacralità ed importanza dell’educazione dev’essere salvaguardata, sperando che, passata la pandemia, le scelte politiche tornino a dare priorità a quello che è in realtà l’origine della nostra vita: il pensiero ed il sapere.