Nella notte tra il cinque e sei settembre, a Colleferro, Willy Monteiro Duarte, un giovane di 21 anni, nell’intento di sedare una rissa in cui era coinvolto un suo ex compagno di classe, viene pestato a sangue da quattro ragazzi. Pugni, ginocchiate e ripetuti calci alla testa. Willy muore mentre viene trasportato in ospedale. Al momento i quattro aggressori sono accusati di omicidio preterintenzionale, un quinto complice invece è attualmente accusato di favoreggiamento in omicidio. La macabra storia oramai è sulla bocca di tutta la nazione. Telegiornali, giornali, sul web, non si parla d’altro, la vicenda è di dominio pubblico. Tutti esprimono la propria opinione, ognuno esprime i propri giudizi e le proprie accuse. Il tribunale mediatico è cominciato.
Tuttavia, senza cercare scoop o notizie esclusive, riflettiamo sulle responsabilità che la politica e i media hanno in questa drammatica vicenda. Prima, però, non è superfluo precisare che la prima responsabilità è dei quattro vigliacchi. Non possiamo certamente attribuire ad una società tarata le cause di tanta violenza gratuita, ingiustificata. D’altra parte, i nostri giudizi verso questi presunti assassini non riporteranno in vita Willy, quindi ci sembra importante fare un passo indietro, per uscire dalla gogna mediatica che serve solo ad alimentare odio. Per un pugno di click le maggiori testate nazionali hanno iniziato a scrivere di tutto su questa vicenda. Abbiamo visto tirare dentro questo calderone le responsabilità dello sport MMA, ad oggi incarnato con la figura di questi quattro balordi. Le figure principali di questo sport sono state costrette a scendere in campo con video e messaggi per prendere le distanze dall’accaduto e dai personaggi in questione. Altre testate, piuttosto che raccontare l’accaduto, hanno iniziato dei processi non-sense ai muscoli degli aggressori. Insomma un quadro pietoso in cui il giornalismo vero cede il passo ai click e alla notizia che esce e circola più velocemente delle altre. L’essenza fa spazio all’apparenza anche nel giornalismo. Va purtroppo sottolineato come questo modo di fare giornalismo sia lo stesso che mesi fa, in un’intervista a Gabriele Bianchi, uno degli aggressori di Willy, lo descriveva come eroe nonché commerciante coraggioso, solo perché apriva un’attività subito dopo il lockdown. Adesso parenti e amici dei quattro incolpati sono invitati a trasmissioni tv, alimentando solo l’odio popolare.
Sarebbe utile però affrontare il problema della violenza piuttosto che parlare di quanto erano bravi prima del pestaggio. Sarebbe più produttivo affrontare l’abbandono in cui vivono i cittadini delle periferie italiane, tra disoccupazione e delinquenza. Ma soprattutto ci sarebbe da mettere sul banco degli imputati in primis la classe politica, nello specifico quei partiti che da anni soffiano il vento dell’odio, dell’intolleranza verso il diverso o lo straniero. È inammissibile che molti quotidiani diano indirettamente man forte a certi partiti specificando a caratteri cubitali che Willy era di origine capoverdiana, come se la provenienza sminuisse alquanto ciò che gli è accaduto. Nessuno ha esordito con la domanda più sensata: cosa sarebbe successo se ad ammazzare un ragazzo bianco a calci in testa fossero stati quattro africani? Alcuni leader politici, su tutti Salvini, si sarebbero fiondati a Colleferro per la loro campagna elettorale calpestando il vero dolore.
Quella di Colleferro è una vicenda anche politica, l’intolleranza e le spedizioni in stile “fascismo 2.0” aumentano nel nostro Paese, non sono episodi isolati. Purtroppo per molti sciacalli, gli indagati questa volta sono italianissimi e bianchi. Dunque non vedremo tweet indignati di molti esponenti politici, non vedremo la loro presenza sul territorio, né tanto meno vedremo invocare la caccia allo straniero, perché i quattro sono italiani e questo per l’informazione nostrana non è importante. Gli italiani che ammazzano non portano voti, non attirano odio facile, non migliorano il risultato di nessuna campagna elettorale. Anzi, gli aggressori sono stati umanizzati in più righe, la colpa è passata alle arti marziali. Questo è un sistema studiato ad hoc per non puntare l’attenzione sul fatto che la cultura predominante di queste persone è la violenza, il culto del fascismo, il fanatismo di scagliarsi sul più indifeso. Insomma il giornalismo nostrano, per raccontare questa vicenda, ha preferito i soliti stereotipi e questa mancanza di responsabilità etica e sociale aiuta i politici di turno e alimenta la non cultura. Willy Monteiro Duarte è un’altra vittima del deserto sociale e culturale che stiamo vivendo, dell’inadeguatezza della classe politica che non ha radici sul territorio ma che si limita a legiferare senza conoscere le contraddizioni reali di un Paese alla deriva.
Diciamolo pure coloro che hanno ucciso Willy sono degli assassini, sapevano bene cosa facessero e avevano tutta l intenzione di farlo.
Non diamo sempre la colpa alla società o alla politica altrimenti forniamo un alibi, una giustificazione ad azioni brutali e senza senso.