Bisognerà farsene una ragione: una parte dei media italiani non fa il proprio mestiere come dovrebbe. Nei giorni scorsi si sono verificati all’estero due eventi di risonanza internazionale che riguardano anche il nostro Paese. Il primo in ordine cronologico è stato l’arresto di Steve Bannon, accusato di frode per aver truffato i finanziatori della costruzione del muro lungo il confine tra gli USA e il Messico, voluto da Trump. Per chi non lo ricordasse, Bannon è stato lo stratega, poi licenziato, del Presidente americano. Già noto per la sua adesione alla destra suprematista, antisemita ed antislamica, sostiene movimenti populisti e di destra europei, come il Rassemblement National francese, il Partito per la Libertà olandese, l’Alternativa per la Germania, la Lega italiana e Fratelli d’Italia. Nel febbraio 2018 il Dignitatis Humanae Institute (associazione sovranista molto vicina a Bannon) ottenne la concessione dell’Abbazia di Trisulti, nel Frusinate, per ospitarvi la “Scuola di sovranismo” da lui creata col plauso di Salvini e della Meloni. Una sentenza del Tar sospese nel 2019 la concessione con gran sollievo del Ministero per i beni culturali e della società civile, ma una nuova sentenza l’ha da qualche mese rispristinata ed è quindi prevedibile che l’Italia torni ad essere la sede della “Scuola di sovranismo”, peraltro in un sito di rilevanza storica e artistica. Non è dato sapere se l’arresto di Bannon e i successivi sviluppi modificheranno questa previsione.
L’altro evento, gravissimo, è l’avvelenamento di Navalny, il più temibile oppositore di Putin. Il mondo occidentale sospetta il coinvolgimento in questo ennesimo misfatto (che fa seguito ai casi di Anna Politovskaya, Alexander Litvinenko, Boris Berezovskij, Viktor Juščenko, Sergej Viktorovič Skripal’) del Presidente russo, ex capo del KGB. Gli effetti sono stati quasi sempre letali e puntualmente sostenuti da sostanze tossiche più o meno sconosciute somministrate di preferenza col tè.
Entrambi gli eventi richiamati riguardano dunque la destra sovranista italiana, non certo per responsabilità dirette o indirette ma per il legame ideologico che unisce Bannon alla Meloni ed allo stesso Salvini, anche se quest’ultimo è stato ridimensionato dopo il disastro del Papeete. E c’è poi l’attrazione fatale esercitata da Putin sul segretario della Lega, comprovata dalla nota visita a Mosca dell’allora ministro dell’interno Salvini e del suo stretto collaboratore Savoini, nonché dai frequenti tentativi di far rimuovere le sanzioni irrogate alla Russia per l’annessione della Crimea e l’ingerenza nella politica ucraina.
Si può dunque immaginare che i due principali esponenti del sovranismo nostrano abbiano provato un certo imbarazzo politico. Ma mentre in America il presidente Trump è stato prontamente chiamato dai media statunitensi a pronunciarsi sull’affare Bannon (cosa che ha fatto, com’è suo costume, minimizzandolo), qui da noi pare non sia venuto in mente a nessuno di chiedere alla Meloni e a Salvini cosa ne pensassero di queste incresciose vicende e se fossero ancora orientati a sostenerne i rispettivi protagonisti. In verità non sappiamo se qualche cronista si sia avventurato a chiedere una intervista, né è dato sapere se abbia ricevuto un rifiuto, ma resta il fatto che ai due sono state risparmiate possibili domande sgradite. L’assunto che le loro risposte non avrebbero interessato nessuno, vista l’indifferenza del grande pubblico nei riguardi dell’approfondimento politico, non giustifica il silenzio: per un cronista politico dovrebbe essere una notizia anche il “fatto” che i due si siano rifiutati. Dal diniego di Meloni e Salvini il cittadino comune avrebbe potuto trarre la conclusione, magari affrettata e provvisoria, che non abbiano voluto sottoporsi a domande imbarazzanti. In una scena politica inondata dalle parole spesso pronunciate a vanvera, anche il silenzio di un politico su questioni serie dovrebbe trovare spazio nell’informazione.
Se prendiamo in considerazione l’interesse di qualunque esponente politico a non esporsi a contraddittori che potrebbero danneggiarne l’immagine ed il consenso, non possiamo non ipotizzare che non poche interviste e partecipazioni a talk show siano precedute da accordi tra l’esponente politico di turno e l’intervistatore/conduttore nei quali si pongono dei limiti in mancanza dei quali l’intervista o la partecipazione saranno negate. Raramente capita che qualche conduttore comunichi al pubblico di aver più volte invitato un personaggio e di non essere riuscito ad averlo in trasmissione.
Sta di fatto che, come più volte rilevato, sono rarissime le occasioni televisive nelle quali esponenti politici vengano messi in difficoltà. Le rare volte in cui succede, questi professionisti delle “performances” televisive riescono anche a capovolgere a proprio vantaggio le situazioni di più grave disagio, abbandonando, ad esempio, la trasmissione senza trascurare però di lanciare accuse di parzialità al conduttore o, meglio ancora, di dichiarare di sentirsi insultati: per i populisti nostrani le domande scomode diventano insulti in quattro e quattr’otto.
Inutile dire che soggetti dotati di questa prontezza di spirito abbondano nei partiti di destra e nei populisti in ragione dei corsi di addestramento alla rissa verbale inaugurati da Berlusconi col supporto tecnico di Publitalia in occasione della, per lui, fortunata “discesa in campo”. La conclamata “superiorità” della destra nella vis polemica potrebbe essere bilanciata solo se i “fatti” riportati dai mezzi di informazione fossero realmente tali. E invece l’informazione fa assurgere al rango di “fatto” qualunque insulsaggine: le incursioni di Salvini in giro per l’Italia nelle quali va ripetendo quotidianamente la stessa solfa, concludendola con lo slogan “Prima i pesaresi”, se si trova a Pesaro, o “Prima i leccesi”, se sta a Lecce, diventano “fatti” perché i media ce ne dànno premurosamente conto. Vi sembra serio che, se un paio di centinaia di negazionisti, vittime della più desolante propaganda neofascista, manifestano a Roma, si mandino in onda non solo un filmato ma anche le interviste a quattro o cinque di questi coatti, orgogliosi di sparare le più sonore sciocchezze? In un paese normale sarebbe bastata una semplice frasetta: “Fallita a Roma la manifestazione negazionista indetta da organizzazioni di estrema destra. Assenti i personaggi di spicco che vi avevano aderito in un primo momento, erano presenti non più di duecento persone”. Se l’informazione continuerà a dare un’immagine distorta della realtà politica, presentandoci come “fatti” gli spot pubblicitari di questo o quel politico e trascurando, più o meno colpevolmente, di farci conoscere i “fatti” veri, gli unici sconfitti saranno i cittadini, il cui diritto ad essere correttamente informati è già ampiamente compromesso dalla superficialità e dall’enfasi di certo giornalismo televisivo, per non parlare delle fake news che, insieme, disegnano uno scenario poco favorevole alla crescita civile del Paese oggi tanto necessaria.