“Per me è stato un giorno maledetto.
Che bel sogno il governo di Allende,
che onore averlo conosciuto”.
– Luis Sepúlveda
L’11 settembre è la data che sancisce l’inizio di uno dei capitoli più bui della storia del Cile: la dittatura di Augusto Pinochet e la morte di Salvador Allende. La mattina dell’11 settembre 1973 ebbe infatti inizio il colpo di stato che rovesciò il governo del presidente socialista Salvador Allende, regolarmente eletto dal popolo cileno nel 1970.
Il colpo di stato, che secondo molti storici fu organizzato insieme agli Stati Uniti d’America, preoccupati che si creasse una roccaforte comunista nel continente latinoamericano, iniziò la mattina di quell’11 settembre con un’operazione di silenziamento di tutte le radio e le tv nazionali, chiuse o bombardate, tranne una, radio Magallanes, da cui Allende tenne il suo ultimo discorso alla nazione. Lo ricordiamo con le parole della nipote, Isabel Allende: «Una radio a pile trasmetteva tra stridii la voce del Presidente che annunciava il tradimento dei militari ed il golpe fascista; chiedeva alla gente di rimanere tranquilla sul proprio posto di lavoro, di non cedere alle provocazioni e alle aggressioni e ripeteva che lui sarebbe rimasto al suo posto per difendere il governo legittimo. “Mi trovo in un passaggio cruciale della storia e pagherò con la mia vita la lealtà del popolo”.»
Successivamente il generale Pinochet insieme ai militari si diresse verso il palazzo presidenziale, il Palazzo della Moneda a Santiago del Cile, dove chiesero ad Allende di arrendersi. Il Presidente non volle consegnarsi e poco dopo il Palazzo della Moneda fu raso al suolo dalle bombe. Lo stesso Allende, secondo ricostruzioni successive, pare si sia tolto la vita con un mitra AK-47 regalatogli da Fidel Castro, ma ancora oggi molti dubitano di questa versione e persone vicine ai militari golpisti hanno riportato testimonianze controverse che invece parlano di omicidio.
La sanguinosa dittatura di Pinochet durò 17 anni, dal 1973 fino al 1990, tra migliaia di sparizioni forzate, detenzioni di prigionieri politici, assassinii nonché abolizione delle principali libertà fondamentali, sancite dalla Dichiarazione per i Diritti dell’Uomo: libertà di espressione, libertà di riunione, libertà di pensiero. Tutti gli oppositori politici furono trucidati, durante la dittatura furono uccise più di 3.000 persone e furono circa 40.000 i casi di tortura e detenzione illegale.
Oggi, nell’anniversario della morte di Salvador Allende, vorremmo rendere omaggio alla sua figura, come politico e come uomo. Per molti la sua visione politica nel contesto in cui il Cile si trovava all’epoca era un’utopia: il suo sogno era quello di abbinare socialismo e democrazia. Medico, marxista convinto, Allende fu tra i fondatori del Partito Socialista del Cile, nel 1933, Ministro della Sanità e dal 1966 al 1969 Presidente del Senato. Nelle elezioni del 1970 si presentò con il Partito di Unidad Popular formato da Partito Socialista, Partito Comunista, Partito Radicale e cristiani di sinistra dissidenti. Con il suo governo iniziò il programma socialista: furono nazionalizzate le principali industrie, in particolare le miniere di rame sotto il controllo degli USA, fu messa a punto una riforma agraria, furono fatte riforme sociali con aumento dei salari e delle pensioni minime, introdusse il divorzio ed eliminò le sovvenzioni statali all’istruzione privata. La morte di Allende e la fine del sogno socialista pagato con il sangue ha avuto un impatto profondo e ha lasciato cicatrici ancora aperte nel popolo cileno. E non solo.
Se guardiamo al nostro Paese, in Italia ci furono reazioni contrastanti: se da un lato molti fecero pressioni per rompere le relazioni diplomatiche con il Cile e per condannare il colpo di stato, una parte della DC non volle indebolire la democrazia cristiana cilena. Va anche ricordato però che l’Italia fu uno dei primi Paesi ad accogliere i rifugiati politici cileni, grazie al supporto di sindacati, società civile, associazioni e studenti e l’Ambasciata italiana a Santiago si adoperò con forza per far arrivare qui centinaia di rifugiati politici.
In una nostra recente intervista al cantante Marcelo Coulòn degli Inti-Illimani viene ricordato proprio quel periodo: “Noi siamo stati fortunati perchè siamo rimasti in Italia, dove eravamo durante il colpo di stato, e l’Italia all’epoca lottava per un compromesso storico, aveva una vita politica molto interessante e ricca e soprattutto aveva il popolo italiano. La solidarietà che abbiamo ricevuto ci ha fatto crescere come artisti, come musicisti, come persone, abbiamo davvero conosciuto cosa significa la parola solidarietà. Il giorno del colpo di stato ricordo che un compagno della FGCI fece tutte le scale di corsa in Vaticano per darci la notizia del colpo di stato in Cile“.
Quell’11 settembre 1973 rappresenta dunque una linea di demarcazione nella storia cilena, ma anche nella storia italiana e mondiale. È fondamentale tener viva la memoria storica di quegli avvenimenti, affinché gli orrori del passato non si ripetano. E affinché la dignità e la volontà del popolo cileno non vengano calpestate mai più.
Rachele Renno e Francesco Fusi
Ricordo perfettamente quel giorno. Il Cile era allo stremo a causa dello sciopero degli autotrasportatori evidentemente supportati dagli USA. Purtroppo l’anniversario dell’11 settembre lo ricordano in pochi, essendo stato sostituito nella memoria collettiva da quello del 2001, l’abbattimento delle torri gemelle.