Dopo quasi due mesi dal ritrovamento del corpo di Mario Paciolla, impegnato in una missione di pace delle Nazioni Unite in Colombia, le indagini sulle cause della sua morte hanno subito una svolta importante. Ripercorriamo brevemente le tappe di questa tragica vicenda. Mario Paciolla, 33 anni originario di Napoli, impegnato da anni nella giustizia sociale e solidarietà internazionale, dopo aver lavorato come cooperante nella Ong Brigadas Internacionales de la Paz, da qualche anno era stato assunto dall’ONU nella missione di verifica degli accordi di pace in Colombia tra le forze governative e le FARC (forze armate rivoluzionarie colombiane).
Senza alcun dubbio, sia il Paese sia il contesto in cui Mario operava sono tristemente famosi per il clima di corruzione, instabilità politica e sanguinose scomparse. Mario è stato ritrovato morto nella sua casa di San Vicente del Caguán il 15 luglio scorso, con un cappio al collo e varie ferite da taglio sul corpo, circostanze che avevano portato le autorità colombiane ad ipotizzare un suicidio. Numerosi però sono stati gli indizi che fin da subito hanno fatto dubitare di questa ipotesi e hanno mobilitato l’opinione pubblica internazionale per richiedere la verità.
Oltre a confessare alla madre le sue preoccupazioni e la sua inquietudine per qualcosa che aveva visto e scoperto nella missione ONU in cui era impegnato, oltre ad aver acquistato un biglietto di ritorno a casa, a Napoli, per il 20 luglio, Mario Paciolla aveva adottato delle misure di autotutela che lasciano presupporre che si sentisse in serio pericolo. Aveva infatti preparato una via di fuga sul tetto della sua abitazione a San Vicente del Caguán, dove è stato poi ritrovato senza vita. Una delle ultime chiamate partite dal suo telefono prima della morte era destinata a Christian Thompson, capo sicurezza della missione, chiamate che, come sostiene la sua amica Claudia Julieta Duque, sono di particolare gravità, in quanto attivano dei protocolli di sicurezza particolarmente allarmanti.
E proprio sulla figura di Christian Thompson si stanno orientando le indagini: sarebbe stato proprio lui dopo la morte di Mario Paciolla a “ripulire” la casa del giovane napoletano e ad autorizzare quattro poliziotti colombiani, ora sotto inchiesta, a portar via gli effetti personali del giovane, secondo quello che è stato definito il Protocollo Onu, su cui ci sono delle verifiche in atto.
Proprio l’assenza di questi ultimi, che secondo la sua amica Claudia Duque consistevano in macchina fotografica, penne USB, materiale informatico, passaporto e soldi in contanti, insieme all’assenza delle presunte armi da taglio con cui il giovane si sarebbe tolto la vita hanno destato da subito sospetti.
La svolta però è arrivata dall’autopsia effettuata sul corpo del nostro connazionale: la morte di Mario è avvenuta prima che fosse stretto il cappio intorno al suo collo ed anche le armi da taglio non sono state la causa del suo decesso. La procura di Roma dunque ha modificato l’imputazione delle indagini, da “istigazione al suicidio” a “omicidio”. Infatti i segnali che portavano verso questa ipotesi erano tanti e ben radicati, nonostante i tentativi di depistaggio da parte delle autorità colombiane.
Nel frattempo, numerosi sono stati i comuni, da Padova a Barcellona, a mobilitarsi per chiedere giustizia per Mario Paciolla, facendo appello al Presidente colombiano Iván Duque. Quella di Mario resta una vicenda che si somma alle atroci morti di altri connazionali impegnati in Paesi a rischio, come quella di Giulio Regeni, rimasta fino ad ora impunita.
Lo stato della cooperazione internazionale e dei processi di pacificazione in Paesi a rischio sono attualmente ancora in condizioni precarie. Forse bisognerebbe analizzare la storia e l’evoluzione della cooperazione internazionale nel nostro Paese e nel mondo per poterne capire realmente i limiti e le falle tuttora presenti. Ma di questo tema parleremo prossimamente.