Un pezzo di un puzzle che non c’è

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Tra poco meno di un mese si andrà alle urne per esprimersi sul referendum che propone di ridurre il numero dei parlamentari: alla Camera dei Deputati da 630 a 400, al Senato da 315 a 200. I populisti, favorevoli a votare “sì” a tale riduzione, ne fanno sostanzialmente una questione di abbattimento dei costi della politica: secondo loro tale riduzione dovrebbe comportare un risparmio di 500 milioni di euro a legislatura. Tale previsione appare troppo ottimistica per alcuni analisti; infatti, stando all’Osservatorio dei conti pubblici italiani di Carlo Cottarelli, il risparmio derivante dall’eventuale riduzione del numero dei parlamentari potrà ammontare a 285 milioni a legislatura. Ridimensionato così il principale argomento a favore del “sì”, esaminiamo in breve gli effetti che la riduzione dei parlamentari avrebbe sull’ordinamento costituzionale della Repubblica.

I fautori del “sì” al referendum sostengono che la riduzione del numero dei parlamentari renderà più efficiente e rappresentativo il nuovo Parlamento; ma se non si inserisce questo taglio in un contesto di riforma costituzionale in cui si rivedano le funzioni del Parlamento, di quale utilità ordinamentale potrà essere questa misura? Probabilmente è sfuggito ai promotori della riduzione del numero dei parlamentari che tale iniziativa dev’essere accompagnata da altre modifiche costituzionali essenziali: per esempio, prima di procedere alla riduzione del numero dei parlamentari (proposta sostenuta dai fautori dell’antipolitica “senza se e senza ma”), sarebbe stato più serio pensare a riformare il bicameralismo perfetto, o paritario, che contraddistingue l’ordinamento della Repubblica (artt. 70 e seguenti della Costituzione), ripensando le funzioni e attribuzioni di ciascun ramo del Parlamento.

Inoltre, perché non si è provveduto, almeno contestualmente, a modificare l’art. 83 della Costituzione, che dispone la partecipazione di tre delegati per ciascuna Regione all’elezione del Presidente della Repubblica? Riducendo il solo numero di parlamentari, alla prossima elezione del Capo dello Stato si potrebbe assistere a un maggior peso proporzionale dei delegati regionali rispetto al numero complessivo dei parlamentari.

Infine, l’iter legislativo di riduzione del numero dei parlamentari non è stato accompagnato, finora, da una modifica della legge elettorale né da necessari mutamenti dei regolamenti parlamentari. Tutto ciò non depone a favore di un’organica visione di riforma costituzionale da parte dei populisti che ora chiamano a raccolta i cittadini per vedere approvato il referendum da loro fortemente voluto. Sarebbe un errore votare a favore della riduzione del numero dei parlamentari senza adeguate misure di salvaguardia dell’equilibrio ordinamentale; in definitiva, allo stato dei fatti, la riduzione del numero dei parlamentari si presenta come un tassello di un puzzle che non esiste, nel senso che – in assenza di un organico progetto di riforma che tenda alla conservazione del sistema di bilanciamento dei poteri nell’ambito costituzionale – tale taglio da solo non servirà a garantire maggiore efficacia ed efficienza al Parlamento.

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