Una tempesta in un bicchier d’acqua?

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Come se non bastassero le preoccupanti notizie sui nuovi focolai di Covid-19 manifestatisi in varie parti d’Italia e sulla recrudescenza della pandemia nel mondo, questa estate sarà ricordata pure per i “furbetti del bonus da € 600”. La vicenda è nota: un manipolo di parlamentari e oltre 2.000 amministratori locali e regionali hanno chiesto (e in gran parte ottenuto) il bonus da € 600 mensili, previsto dai decreti “Cura Italia” e “Rilancio” a favore delle partite IVA (commercianti e lavoratori autonomi), la cui attività è stata fortemente compromessa dall’emergenza economica seguita alla pandemia.

Senza entrare nel merito della legittimità della richiesta del bonus da parte degli eletti a cariche pubbliche e prescindendo dalle giustificazioni addotte dai diretti interessati, l’indignazione suscitata dal loro comportamento è dipesa dal fatto che l’opinione pubblica non ha riscontrato alcun “onore” in tale condotta; parliamo evidentemente di quell’onore cui fa riferimento l’articolo 54 della Costituzione, che dovrebbe guidare quanti svolgono “funzioni pubbliche”. Piuttosto, il comportamento di chi, già beneficiario di indennità mensili di migliaia di euro al mese, aspira ad “oboli” concepiti per alleviare i disagi economici altrui si configura come ingordigia!

Di fronte a questa situazione alcuni ritengono che si stia assistendo a una tempesta in un bicchier d’acqua per il fatto che il Parlamento è uno spaccato della società italiana, per cui anche gli evasori fiscali e i tanti furbetti hanno i loro rappresentanti su quegli scranni; quindi, di cosa ci si meraviglia?

Per giunta i professionisti della dietrologia hanno subito posto la questione: come mai questa notizia è trapelata proprio ora, a ridosso della data del referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari? Secondo costoro, la tempistica sarebbe stata studiata ad arte per incoraggiare i cittadini, sull’onda dell’indignazione, a votare “sì” al referendum.

Piuttosto che impantanarsi in discorsi sterili, lo sdegno del momento dovrebbe servire a far riflettere sull’opportunità di cambiare le regole della scelta dei candidati al Parlamento per non rischiare che, com’è accaduto finora, i vertici dei partiti abbiano sempre l’ultima parola sulle candidature. Infatti, il meccanismo elettorale proporzionale non ha dato buona prova di saper stabilire un raccordo tra rappresentanza, elettori e territorio; invece, un sistema a collegi uninominali potrebbe imporre alle strutture di partito di inserire nelle proprie liste non solo candidati di sicura dipendenza e provata appartenenza, ma anche i più competenti, i “migliori” nell’opinione comune dei territori. Il che potrebbe limitare non poco lo strapotere della “casta”.

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