Ieri saresti dovuto tornare a casa. Il tuo biglietto aereo dalla Colombia era datato 20 luglio.
Ed oggi ti pensiamo ancor di più di come non abbiamo fatto negli ultimi giorni.
Ciao Mario, grazie per il tuo coraggio.
Non lo conoscevo personalmente, eppure ci saremo incrociati nei cortili dell’Orientale, o tra le strade del Rione Alto, o nei collettivi studenteschi dove era impegnato.
Non lo conoscevo ma la sua storia potrebbe essere la mia, come quella di tanti ragazzi che mettono la propria vita al servizio degli altri, al servizio della cooperazione internazionale, diventando cittadini del mondo per dare un senso alla propria vita: fare del bene al resto dell’umanità.
Carmine Mario Paciolla era, e fa molto male dover usare il passato, un ragazzo di 33 anni, originario di Napoli, laureato in Scienze Politiche all’Orientale ed impegnato già da vari anni in un progetto di cooperazione internazionale in Colombia, dove era poi entrato a far parte di una missione di verifica delle Nazioni Unite sugli accordi di pace nel Paese. Non una qualsiasi, bensì una missione di pace tra le FARC (le forze armate rivoluzionarie colombiane) ed il governo del Paese. Missione senza dubbio complessa, rischiosa, a tratti sanguinosa: sono già molti infatti i membri delle FARC che sono morti negli ultimi anni ed il processo di negoziazione è tutt’altro che lineare.
Giorni fa, Mario aveva accompagnato il governatore di Caquetà, Arnulfo Gasca, ed il sindaco di San Vicente de Caguán, Julian Perdomo, per incontri di dialogo ed accordo con le comunità rurali dove si facilitavano i processi di pace.
Il 15 luglio scorso il corpo di Mario è stato trovato senza vita nella sua casa di San Vicente de Caguán, con numerosi tagli sul corpo, principalmente ai polsi, alle mani e al costato. E la prima ipotesi dichiarata dalle autorità locali è stato suicidio. Un suicidio probabilmente simulato, su cui le zone d’ombra si allargano sempre di più. Gli amici, la famiglia e le persone a lui vicine scartano con forza questa ipotesi per innumerevoli ragioni. In primis, perché nell’ultimo periodo Mario era particolarmente preoccupato e teso per qualcosa che aveva visto, che aveva scoperto nel suo contesto lavorativo, tanto da raccontarlo preoccupato alla madre, esprimendo la sua volontà di ritornare per un po’ nella sua terra per “bagnarsi nelle acque di Napoli”. Qualcosa dunque che lo aveva turbato e su cui non era d’accordo, essendo, a detta di tutti, un ragazzo votato alla legalità e alla giustizia. E sicuramente senza entrambe non avrebbe intrapreso la scelta di vita che ha fatto. In secondo luogo, proprio per questo, Mario aveva acquistato il biglietto di ritorno a casa, per ieri, 20 luglio. Un biglietto che dunque testimoniava la sua volontà ed il suo desiderio di tornare per un po’ nella sua terra natia vicino ai suoi affetti. Ed, infine, ma non per importanza, perché Mario era a detta di tutti un ragazzo assetato di vita. La sua voglia di vivere, di scoprire e di lottare per una causa al servizio della comunità lo ha sempre contraddistinto: all’università, nelle lotte studentesche, perfino nelle partite di calcetto.
La professoressa di hindi dell’Orientale, Stefania Cavaliere lo ricorda così: “La sua curiosità e i suoi molteplici interessi si sono concretizzati in numerosi viaggi durante il suo percorso di studi: un anno a Parigi come studente Erasmus, oltre a soggiorni di vari mesi in Spagna e Argentina. E proprio in Sud America era impegnato negli ultimi anni. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, lo ricorda come uno studente e un collega di studi brillante, curioso, aperto e cittadino del mondo per vocazione, che già da studente si distingueva per la dedizione e l’onestà del suo lavoro.”
Ma la mobilitazione per indagare le cause della sua morte è già iniziata con forza. Gli amici e le persone più vicine hanno aperto una pagina Facebook ed avviato una petizione su Change.org per chiedere al Ministero degli Esteri di indagare sulla vicenda e di scoprire la verità, petizione che ha già raggiunto migliaia di firme.
Sulla facciata del Comune di Napoli è stata esposta una sua foto ed il sindaco Luigi de Magistris ha chiesto verità e giustizia per Mario e per la sua famiglia, affermando di non volere un altro Giulio Regeni. Intanto Propaz, associazione dedita a progetti di pace in Colombia, Amnesty International, collettivi di studenti, volontari internazionali si stanno muovendo per scoprire cosa è accaduto a San Vicente de Caguán.
Mario sarebbe potuto essere chiunque di noi, e la sua morte, come quella di Giulio Regeni, fa ancora più male se si pensa allo scopo, al fine delle loro missioni. Mario era in Colombia impegnato in una missione di pace, una delle più difficili nel panorama internazionale è vero, ma pur sempre una missione di pace. E dunque quale può essere il conforto? Sicuramente scoprire cosa è accaduto realmente il 15 luglio, sicuramente rendere omaggio ad un giovane voglioso di conoscenza, di arricchimento e di solidarietà.
Ma tutti sono rimasti turbati e profondamente colpiti dalla vicenda, ed oggi, caro Mario, forse andrò proprio vicino al mare, alle acque di Napoli dove avevi voglia di bagnarti, ci andrò per te, e mentre osserverò il Vesuvio dall’acqua penserò alla tua voglia di giustizia, alla tua vocazione internazionale, alla tua forza e ti assicuro che la tua battaglia diventerà anche la nostra.
Il sapore amaro resterà, perché no, non si può morire senza tutele mentre si cerca di cooperare in una missione umanitaria. Il senso ultimo della nostra vita in una società sempre più orientata all’individualismo e al profitto, è quello che Mario ci ha insegnato, tra le righe: battersi per i diritti negati, per gli emarginati della società, per le comunità del Sud del mondo, per la solidarietà internazionale e transnazionale. Quindi grazie Mario, per il tuo coraggio. Sappi che continueremo anche per te.
Molti cercano la pace:quella interiore,in famiglia,con i vicini,con il collega di lavoro ma pochi perseguono quella del mondo e quei pochi ahimè vengono divorati proprio dallo stesso mondo che come una bestia ferita attacca e uccide chiunque si avvicini per curarla