La prima fase del “Campionato mondiale intitolato alle Vittime del coronavirus” si va chiudendo: allo stato sembrerebbero qualificati per le semifinali che si svolgeranno, se tutto va bene, nel prossimo autunno gli U.S.A., il Regno Unito, il Brasile e l’Italia, insidiata quest’ultima dalla Spagna e dalla Francia che però non hanno molte possibilità di scalzarla, salvo imprevedibili “exploit”.
Prima di azzardare qualunque previsione è opportuno svolgere qualche considerazione tecnica. La prima è una semplice costatazione: i primi tre “semifinalisti” sono partiti con un enorme “vantaggio”. Nessuno di quelli che governano in queste nazioni ha riconosciuto la potenza letale del virus e quindi lo ha lasciato correre liberamente per il campo senza marcarlo e lui, da campione qual è, ha mietuto una vittima dopo l’altra, fino a far “guadagnare” ai suoi sponsor la posizione prestigiosa che ormai occupano in classifica. Tatticamente tutti e tre hanno optato per l’immunità di gregge, convinti come sono di poter spingere, prima o poi, i loro supporter ad una condizione non diversa da quella degli ovini. Certo il Regno Unito si troverebbe in una posizione di assoluto dominio, se non fosse sopravvenuto un grave infortunio proprio al premier Boris Johnson che si è beccato il virus, subendo così un beffardo autogoal a seguito del quale ha dovuto rafforzare la difesa immunitaria rinunciando alle sortite in attacco. Trump e Bolsonaro hanno invece impostato una partita offensiva dando sfogo all’estro del virus. Anche se qualche ombra aleggia sul risultato di Trump, che secondo alcuni osservatori sarebbe stato gonfiato con l’inclusione di quelli ammazzati dalla polizia, che non sono pochi.
Tutti questi signori aspirano dunque legittimamente al titolo perché hanno in comune una visione autoritaria della gestione. Nessuno nella squadra può contestare l’impostazione tattica da loro stabilita e della quale risponderanno solo agli azionisti di maggioranza delle rispettive nazioni: negli U.S.A. ai fabbricanti di armi di ogni tipo (dalla fionda al nucleare); in Brasile ai latifondisti ed ai concessionari diboscatori di ciò che considerano un’inutile foresta incolta, nella quale fioriscono finalmente campi di soia, piantagioni di canna da zucchero e di avocado; nel Regno Unito, geograficamente più ridotto, si tratta più semplicemente di accontentare gli operatori in borsa e i broker della City.
L’altro dato che accomuna questi personaggi e che rende quindi difficile qualunque pronostico è l’assoluta, irragionevole ed incrollabile fiducia in se stessi: figure semidivine che le rispettive popolazioni hanno avuto la “fortuna” di incocciare nella loro strada altrimenti avviata verso una pacifica mediocrità, per niente competitiva. Benché tra di loro si scambino insincere manifestazioni di reciproco rispetto se non di amicizia, questi tre giganti non vedono l’ora di potersi scontrare nelle partite finali perché, essendo tutti di fede cristiana, non ammettono l’esistenza di altro “dio” al di fuori di loro stessi.
Al momento non si intravede per l’Italia alcuno spazio a meno che eventuali, sempre possibili, elezioni non vedano salire al comando il nostro semidio padano (non pagano, per carità: ha rinnegato da tempo il dio Po), il quale avrebbe buone speranze di non sfigurare perché brandisce da tempo rosari e Bibbie apposta per scroccare un aiuto dall’alto. Se poi, malauguratamente, il torneo non dovesse proseguire (il virus è imprevedibile), sarà opportuno che tutti questi aspiranti ad un successo finale visto mestamente sfumare si guardino indietro per verificare se abbiano commesso, non sia mai detto, qualche errore, perché la loro panchina non sarà eterna: può sempre cambiare la proprietà.
Ottimo articolo, scritto con la giusta dose di ironia, che inquadra perfettamente la situazione.