Distratti dal coronavirus ma non abbastanza da non seguire con attenzione la vita politica del Paese non pochi sono giunti all’amara conclusione che non “andrà tutto bene”. Non c’è dubbio che anche all’occhio di un osservatore dilettante si va organizzando un attacco frontale al Governo. Le opposizioni storiche, come Lega e Fratelli d’Italia, hanno ben chiaro questo obiettivo sin dall’insediamento del Governo giallorosso. Ne hanno sempre contrastato qualunque iniziativa, pur fingendo di tanto in tanto di offrire la loro collaborazione.
Durante la crisi innescata dal coronavirus si sono determinate alcune circostanze nuove che hanno concorso ad allargare e a consolidare il fronte di attacco. Da subito si è andato diffondendo un comprensibile malcontento tra i destinatari degli aiuti economici stabiliti dal Governo a causa dei ritardi spesso riscontrati nella loro erogazione: che si trattasse di partite Iva, di singoli cittadini in difficoltà o di piccole e medie imprese i ritardi ci sono stati. Ma nell’invocato clima di solidarietà di fronte ad un evento disastroso, i ritardi potevano essere giustificati, almeno in parte, con la sproporzione dell’emergenza rispetto a strutture burocratiche e bancarie già farraginose in tempi normali. Così come inadeguato è apparso il servizio sanitario rispetto all’esplosione epidemica che ha colpito le regioni del nord. Altro che collaborazione e solidarietà: le opposizioni hanno fatto le pulci al Governo Conte costantemente!
Ma proprio mentre il malcontento popolare, cinicamente fomentato dalle opposizioni, cresceva, si andava concretizzando, in tempi tutto sommato nemmeno tanto lunghi, l’apertura dell’Unione Europea a una politica di sostegno dei paesi più duramente colpiti. Prima il SACE e poi il SURE, il MES ed infine il Recovery Fund rendevano sempre più consistente la previsione di sostanziosi aiuti economici al nostro Paese, in misura probabilmente superiore a quella che lo stesso Governo si attendeva.
Ma succedeva anche dell’altro. La Confindustria passava sotto il controllo degli industriali lombardi, che eleggevano al suo vertice Bonomi, già presidente di Assolombarda nonché industriale nel settore, alle volte la combinazione, biomedicale. Attaccando da subito il Governo alle prese con il “decreto liquidità”, Bonomi ottiene l’abbuono di due rate Irap a tutte le imprese, comprese quelle non danneggiate dall’epidemia. Ma più crescevano le aspettative di finanziamenti europei, più si infittivano le critiche e le pressioni di Confindustria sul governo: Bonomi è arrivato a sostenere che “questo governo rischia di fare più danni del virus”.
Sarà un caso, ma negli stessi giorni avviene il passaggio di mano del Gruppo Gedi, editore di La Repubblica, La Stampa, l’Espresso e Huffpost dai figli donatari di Carlo De Benedetti a John Elkan, cioè alla FCA. Non c’è motivo di dubitare: la storia italiana, e non solo, ci insegna che la saldatura tra la destra, anche quella illiberale, ed il mondo imprenditoriale è sempre dietro l’angolo e quindi non c’è da stupirsi di quanto si sta verificando anche oggi, sull’onda dell’irresistibile profumo degli euro da gestire tra qualche mese.
Ma le convergenze non finiscono qui. Il disastro lombardo, con le conseguenze politiche e giudiziarie che incombono, ha ulteriormente allarmato l’establishment leghista ed anche la stessa componente privatizzata della sanità, che vede minacciato il suo predominio. Difendere i vertici leghisti di Regione Lombardia e con essi la struttura anomala del sistema sanitario, costruita da Formigoni con molti più anni di lavoro di quanti ne abbia poi trascorso in galera, è diventata un’impresa che accomuna la Lega a chi gestisce la sanità privata all’ombra della Madunina. Come interpretare altrimenti la virulenza dell’attacco al Governo ed al comitato scientifico sferrato qualche giorno fa dal prof. Zangrillo?
A queste spinte che convergono verso il contrasto del Governo Conte 2 si aggiunge quella, non si sa fino a che punto inconsapevole, dei media. E non parliamo ovviamente di quelli che definire “schierati” è un eufemismo, perché si tratta in realtà di veri e propri fiancheggiatori che poco o nulla hanno a che fare col giornalismo più autentico. Ci riferiamo invece alla stampa più moderata che si ostina ad evidenziare con puntiglioso zelo i ritardi, le indecisioni e i contrasti interni alla maggioranza che certamente esistono, ma non possono essere giudicati senza considerare, anche solo in astratto, come sarebbe oggi la situazione se a gestirla fosse stato il governo gialloverde: è ragionevole pensare che si sarebbe ispirato alle posizioni assunte da Trump, da Bolsonaro, da Putin e da Johnson, con i risultati disastrosi che vediamo? È tanto difficile immaginare che l’Europa avrebbe chiuso più di una porta ad un governo sovranista? Per non dire poi dei talk show che campano sul sensazionalismo e quindi si guardano bene dall’intervistare il cassintegrato che ha ricevuto regolarmente l’assegno, preferendogli esclusivamente la “partita Iva” che attende da due mesi i suoi 600 o 800 euro. E cosa c’è di meglio da intervistare se non il piccolo imprenditore che si vede senza un futuro?
Ci si sarebbe attesa dai media una certa amplificazione dei risultati sin qui ottenuti dal Governo in sede europea. Ma la cosa è durata un paio di giorni e poi sono entrati in campo i critici a sostenere che questi soldi non sono poi tanti e chissà se e quando arriveranno. D’altra parte lo stesso Governo, preso forse dai dissidi interni alla maggioranza che lo sostiene, non ha la forza di pubblicizzare come si dovrebbe i risultati ottenuti, talvolta minimizzati dalle stesse forze di governo. Conseguenza di queste disfunzioni informative è che, dopo tre mesi di crisi epidemica, il PD perde di settimana in settimana qualche decimale nei sondaggi, laddove il suo consenso sarebbe dovuto schizzare verso l’alto, se solo qualcuno avesse fatto notare al popolo disinformato che i tanto agognati finanziamenti europei a tasso prossimo allo zero o a fondo perduto sono dovuti oltre che a Conte e a Gualtieri anche a Gentiloni e a Sassoli, entrambi appartenenti, e da tempo, al PD. Confindustria e gli imprenditori del lombardo-veneto sanno che con Salvini e Meloni le loro aspettative sarebbero state ampiamente deluse? Quindi non facciamoci illusioni, il percorso del Governo Conte 2 è pieno di pericolose insidie; l’esecutivo è destinato, prima o poi, a passare la mano ad un nuovo premier, espressione di una diversa maggioranza, che temiamo possa essere per nulla rassicurante. In tale funesta eventualità, addio sogni di gloria: ci ritroveremo più indebitati di prima e i finanziamenti che arriveranno saranno dirottati verso destinazioni meno virtuose ed equanimi di quanto fosse lecito attendersi. Basti pensare a quanti guardano con bramosia al potenziale “tesoretto” che questo Governo sta accumulando per finanziare l’uscita dalla crisi in cui versa il Paese.